Lumpy Gravy. Zappa dal padre delle Mothers Of Invention

By Gianni Luisi

Super Sound, February 23, 1973


Continuando nell'opera di rivalutazione dei long-playing che, pur validissimi sotto tutti i punti di vista, non hanno avuto l'accoglienza che meritavano sul mercato, prenderò in esame questa settimana un capolavoro che, nemmeno a dirlo, è frutto della mostruosa mente di Frank Vincent Zappa: «Lumpy Gravy».

L'occasione mi è fornita dall'auspicato ritorno in distribuzione di questo disco, insieme al precedente «Freak out». Il fenomeno era facilmente preventivabile: visto il successo incontrastato che finalmente Zappa ha incontrato anche tra il pubblico italiano. si è pensato bene di riproporne la prima produzione, talvolta in edizioni rinnovate.

Per chi conosce solo l'ultimo Zappa non escludo una buona dose di perplessità al primo ascolto di «Lumpy Gravys: l'album appartiene alla prima produzione ed è difficilmente isolabile in quanto propone un discorso che si riallaccia e si continua tutto nel primo perido delle «Mothers of Invention».

Forse soltanto ora, tuttavia, si può apprezzare pienamente la sconcertante novità e rivoluzionareità dei contenuti di quest'opera: quello che pensava e componeva Zappa nel 1966 è semplicemente pazzesco se si pensa alla sua posizione veramente unica e solitaria nel panorama musicale che lo circondava. Bisogna considerare, inoltre, che per realizzare la sua satira caustica e violentissima Frank si serviva non dei testi, o perlomeno non solo di essi, quanto piuttosto della sua musica dissacratrice, diversa, estremamente avanti nel tempo. I suoi primi lavori potrebbero appartenere benissimo ai nostri giorni tanto valido è stato ed è tuttora il suo discorso: non dimentichiamo quanto deve a lui la musica odierna, egli ha introdotto su larga scala l'uso degli strumenti elettrificati e del wah-wah, effetto che ha sempre adoperato con insuperata arte. Per non parlare poi dei cori polifonici che con le «Mothers» hanno raggiunto livelli di complessità e bravura sconcertanti; chi ha avuto la fortuna di assistere ad una esibizione delle M.O.I. sa come i loro dialoghi serrati scavalchino tranquillamente le barriere del pudore e delle convenzioni inveterate.

«Lumpy Gravy» mi interessa, inoltre, al di là degli altri motivi che hanno fatto di Zappa uno dei più grandi compositori esistenti, perché in esso si fa uso di un'intera orchestra, fattore questo importantissimo che appare per la prima volta in questo L.P. e che verrà ampliato e complicato nei successivi lavori. L'impiego di una larga sezione strumentale pone sempre ben determinati problemi di impostazione musicale e compositiva e può frenare nella convenzionalità degli arrangiamenti il discorso dell'autore; Zappa ha saputo trasmettere il suo genio dirompente e le sue idee ai musi cisti, personalità che, pur avendo una preparazione mostruosa, ben pochi conoscevano prima della loro collaborazione con la «mente di Baltimora», ed è riuscito, soprattutto, a fare dell'orchestra il mezzo più completo per distruggere le concezioni armoniche della musica.

I tentativi orchestrali su disco della produzione zappiana sono tre e risultano lo specchio di tre diversi periodi.

«Lumpy Gravy», con la «Abnucleals Emuuka Electric Simphony Orchestra e Chorus», appartiene come già detto al periodo distruttivo, innovatore, vilento; «200 Motels», con la «Royal Philarmonic Orchestra», colonna sonora del pazzesco film omonimo (con Ringo Starr nelle vesti di protagonista), è un tentativo su larghissima scala di comporre una vera e propria opera sinfonica e si inserisce in un periodo intermedio che attinge al passato e contemporaneamente si proietta nel futuro, un futuro di ricerca e rielaborazione formale delle vecchie composizioni che trova la sua espressione più completa in «Waka Jawaka» e nell'ultima collaborazione con il «Grand Wazoo», una sezione di ventuno elementi, che propone un discorso forse più semplice e lineare, ricollegandosi solo lontanamente al causticismo e sarcasmo dei primi anni. L'ultima opera è in definitiva lo svisceramento di vecchi temi per ricercarne nuove possibilità di sviluppo armonico e stilistico; infatti, come tante volte ripetuto, tutta la produzione zappiana non è assolutamente scindibile e catalogabile, caratterizzata com 'è da un'unitarietà di intenti che trova la sua realizzazione ed interpretazione nelle diverse ispirazioni momentanee.

La musi ca di Zappa non nasce improvvisa e spontanea se non dal vivo (pur sempre, però. su una base ben definita), è frutto di studio, di vaglio delle diverse influenze (Stravinskij, Prokofiev e John Coltrane in primo luogo) e componenti: non dimentichiamoci che alle spalle di Frank c'è pur sempre Edgar Varèse.

«Lumpy Gravy», come del resto tutti gli altri L.P. si articola in un'infinità di momenti sotto un'idea di base ben precisa: la distruzione della «pig music» concetto che tra poco analizzeremo più attentamente. D'altronde non c'è un solo album di Frank che sia completamente sviscerabile: a volte basta una sola frase, un ritornello per nascondere un intento non proprio lampante.

Il primo problema per «Lumpy Gravy» si pone già prima dell'ascolto dei brani: infatti in copertina (forse la più bella di tutte) Zappa, impeccabile in smoking, ci chiede con un viscidissimo sorriso: «E' questa la seconda parte di We're only it for the money?». La risposta è sicuramente affermativa, questo quarto album, in ordine di uscita, è forse ancora più violento dell'altro nel suo intento di distruggere la base armonica in musi ca e, contemporaneamente, i costumi dell'America industrializzata ( chi non ricorda, ad esempio, «Call any vegetable» dello splendido «Absolutely free»?).

Anche all'interno della copertina sono riportate beffardamente immagini della società consumistica e borghese (Valzer trascinanti, attricette alla Marylin Monroe, congegni meccanici mostruosi) osservate dai piccoli volti pensosi e ironici di decine di minuscoli Zappa.

Mi sembra impossibile analizzare particolareggiatamente il disco in quanto «Lumpy Gravy» è un opera sinfonica completa, rielaborata elettronicamente. Inutile anche dilungarsi sulle doti dei singoli strumentisti, ricorderò solo le «Mothers» più famose: Jimmy Carl Black, Roy Estrada, Bunk Gardner e Johnny Guerin.

Cerchiamo, invece, di scoprire contro quale musica si scaglia Zappa: al proposito è esemplare il discorso che apre la seconda facciata: «La "pig music" (la musica dei porci, quella commerciale oppure, forse, la musica di tipo non zappiano in genere n.d.r.) non crea nulla, non riesce a smuover nemmeno il fumo, la vera musi ca è la "Pony music", in cui ogni elemento della realtà è l'estensione di una nota enorme».

Proprio la «pig music» torna sempre nell'opera di Zappa: motivi classici della musi ca leggera americana, del rock e roll, dei western, talvolta anche delle musiche orientali, giapponesi in special modo, non sentiti certo nostalgicamente, bensì via via riportati e distrutti da urla, effetti elettronici, filtraggi assurdi che li rendono irriconoscibili. L'accanimento più violento si registra, tuttavia, per il rock, inserito con un'ironia feroce in tanti brani.

L'intera opera sinfonica è, come in tutto il primo Zappa, un intreccio, una sovrapposizione, una distruzione continua di brani su cui si inseriscono i testi, le voci mostruose, le urla, le eruzioni gutturali ed i più pazzeschi effetti elettronici: un rifiuto reciso, in definitiva, dell'armonia e della melodia in musica.

Molti rimarranno perplessi propri di fronte ai suoni vocali ed elettronici, ma non bisogna dimenticare che questi hanno una funzione ben precisa nella musi ca i appiana: provocare la reazione istintiva dell'ascoltatore.

Nella prima facciata fa la sua comprsa «Dog breath», pezzo che sarà poi sviluppato più ampiamente nel successivo L.P. «Uncle Meat»; la seconda parte reca marcatissima l'influenza di Varèse.

Il disco non riproduce pienamente l'idea originaria e non è completamente riuscito da un punto di vista tecnico, ma a questo proposito mi sembra opportuno riportare una parte di un'intervista concessa da Zappa a R. U. Kaiser, in cui l'autore stesso spiega la complessa genesi dell'album, nato con l'idea di creare l'accompagnamento musicale per un balletto, progetto questo non andato in porto.

Alla domanda su cosa pensasse di Edgar Varèse Zappa rispose: «Posseggo tutti i suoi dischi reperibili, lo considero il maggior  compositore moderno. Ammiro soprattutto la forza di carattere che gli permise di scrivere musica del genere 30-40 anni fa: il suo modo di comporre è straordinario».

Alla domanda su quale fosse l'influenza di Varèse in «Lumpy Gravy» e su come fosse nato il disco: «Il ricordo di Varèse è più marcato nella seconda facciata: la maggior parte degli accordi sono settime maggiori e none minori, il tutto forma un ritmo abbastanza complesso, ma l'incisione non è riuscita completamente. Non vi fu tempo, infatti, per provare con un 'orchestra: impiegai quella dello studio di registrazione: gli orchestrali vennero e lavorarono brevemente alle loro parti e nonostante la musica fosse difficile, potemmo provare soltanto quattro o cinque volte la partitura. li ritmo è rimasto sconnesso, difetto questo dovuto anche all'inesperienza del tecnico del suono che non aveva mai registrato prima un 'orchestra sinfonica e non sapeva cosa fare. li disco è nato in undici giorni, ho rielaborato sinfonicamente vecchi temi aggiungendoci poi, dopo alcuni mesi, i testi».

Il disco è stato stampato nel febbraio del 1967 dalla «Verve» (trademark of Metro Goldwyn Mayer) ed è anteriore a «We're only in it for the money», anche se è stato posto in distribuzione successivamente. L 'album è reperibile, per ora, solo in edizione originale americana. Riporto la discografia completa di Frank Zappa non in ordine di realizzazione, ma di uscita in Italia.

di GIANNI LUISI

«Freak out» (2 LP) Absolutely free
«We're only in it for the money»
«Lumpy gravy»
«Uncle meat» (2 LP)
«Cruisin' with ruben et the jets»
«Hot rats»
«Burnt weeny sandwich»
«Weasels ripped my flesh»
«Chunga's revenge»
«Mothers - fillmore eat june 71»
«200 motels» (2 LP)
«200 motels» (bootleg)
«Just another band from L.A.»
«Waka Jawaka»
«The grand Wazoo»