Frank Zappa: L'arte della provocazione
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Fra i cantanti a cui è stato conferito il Premio della Critica figura quest'anno anche Frank Zappa, l'animatore del Mothers, forse il personaggio più discusso di tutta la musica contemporanea. L'assegnazione di questo riconoscimento non può non stupire un poco quanti, in questi ultimi anni, abbiano seguito i criteri con cui detti premi venivano distribuiti, specialmente per la musica pop. Con la premiazione del baffuto cantante-compositore americano il premio stesso acquista oggi più credibilità e prestigio.
In molti ricorderanno il primo approccio di Zappa con i critici italiani, qualche anno fa, in una trasmissione televisiva (uno di quei servizi cosiddetti « culturali », che per l'occasione trattava della musica pop). Si trattò di un vero impatto; Zappa, presente negli studi assieme ad un nutrito gruppo di arrangiatori, critici, musicisti (tra cui Hiseman) inglesi e americani, si segnalò subito per la violenta e provocatoria immagine che offrl di sé.
A quei tempi lo stravagante chitarrista aveva già al suo attivo parecchie incisioni, anche se da noi era pressoché sconosciuto; la sua vena artistica non aveva ancora conosciuto quelle ombre che caratterizzeranno la sua produzione posteriore; Uncle Meat, Hot Rats (considerato dai più il suo capolavoro) erano già presenti sul mercato; da poco era comparso anche un altro dei suoi migliori album, Chunga's revenge, e Zappa trascinava dietro ogni sua composizione polemiche e disparità di giudizi; il non senso di gusto dadaista, l'atmosfera assurda, la volontà dissacrante densa di atteggiamenti blasfemi o osceni erano il frutto di una lucida, anche se apparentemente contorta, genialità oppure di un eccentrico e pazzo personaggio preso in considerazione soltanto per l'inusualità dei suoi schemi?
Zappa avallava queste ultime tesi: con le sue Mothers of invention incideva 200 Motels e Just Another Band From L.A., due dischi che, specialmente il primo, trovarono una discreta diffusione presso il nostro pubblico; ma, fondamentalmente, si trattava di dischi piuttosto insignificanti; o meglio, brutti e noiosi. Qui il gusto dell'anticonvenzionale diventava compiacimento, la provocazione, mancando di obiettivi precisi (più nei risultati che nelle intenzioni) diventava fine a se stessa. Poi gli incidenti di Londra, dapprima con le denunce per oscenità, quindi con l'aggressione subita sulla scena, con relativo ricovero in ospedale e periodo di stasi.
Ma, quasi inaspettatamente, eccolo riapparire con una nuova opera, che costituisce il suo riscatto: Waka/Jawaka, che ha per sottotitolo Hot Rats, segno della volontà di Zappa di riallacciarsi al precedente e fortunato album del 1969. E in questo disco si torna al jazz sinfonico anticipando il discorso di quel Grand Wazoo che secondo noi costituisce la massima espressione artistica di Frank Zappa.
Interessantissima la leggenda di Cletus Awreetus Awrightus, di cui il disco del Grand Wazoo rappresenta la colonna sonora. Interessante per i bersagli contro cui l'ironia del compositore americano scaglia i suoi strali; facilmente individuabili certe consuetudini della musica, o meglio della canzone di consumo, contemporanea. Facile individuare l'allusione a certi personaggi da palcoscenico (in prima fila David Bowie e l'uso del travestimento) incapaci di produrre musica, ma abili nel danzare agitando i microfoni, contro i folk-singers di Nashville a cui è sufficiente qualche nozione ritmica per comporre canzoni; e le scariche si estendono a tutta la fauna che ruota intorno al mondo musicale, al vero e proprio lavaggio di cervello a cui il pubblico è sottoposto.
Il Grand Wazoo, che dovrebbe aprire anche un nuovo momento nella produzione di Zappa, è stato premiato; speriamo che si tratti di un segno che anche la critica « ufficiale » si sia resa più sensibile ad un certo tipo di musica.