Ma questo è Captain Beefheart!
By Manuel Insolera
DOPO Il LUNGO SILENZIO Il LEGGENDARIO BEEFHEART CHE HA LEGATO LE SUE COSE MIGLIORI Al NOME DI FRANK ZAPPA, RIAPPARE COME D'INCANTO E QUESTA E' LA NOSTRA INTERVISTA.
Provarsi a definire in sintesi chi, o meglio « che cosa » sia Don Van Vliet, meglio conosciuto dagli amanti della « freak-music » come Captain Beefheart, non è certamente cosa facile. Quando i Fugs e le Mothers of Invention di Frank Zappa cominciarono a mettere « in rock » la rivoltahappening, la satira e la follia, Captain Beefheart assurse al rango di uno tra i principali « principi straccioni » di questo nuovo tipo di musica.
Compagno di scuola di Zappa, e co-fondatore insieme a lui di numerosi scalcinati gruppi giovanili di jazz e di blues, Beefheart (questo nomignolo lo deve allo stesso Zappa) era destinato in seguito a diventare una delle « cose » più sotterranee e marginali di tutta la nuova scena underground sorta a Los Angeles sul finire degli anni Sessanta.
Senza interrompere il suo sodalizio con Zappa (partecipando ai suoi dischi e essendo egli stesso sotto contratte, per la zappiana etichetta discografica Straight) Captain Beefheart e la sua Magic Band facevano uscire una mitragliata di dischi davvero assurdi: sotto una forma apparentemente demente e sconnessa, questi dischi mettevano in scena un « blues jazz » malato di elettricità e di follia, ma, quel che più conta, di autentiche perle tecniche e stilistiche, tanto che lo scardinato blues elettrico di Beefheart è ancora oggi annoverato tra le cose di più alto livello avanguardistico che un musicista bianco abbia saputo trarre dalle matrici nere del blues. Lui, Beefheart, suonava in maniera incredibile il sassofono e il corno, e soprattutto aveva (e ovviamente ha tuttora) una voce stranissima, stentorea e potente, dalle tonalità estremizzate, che sembrava fatta apposta per lo scardinamento avanguardistico del blues.
Pietra miliare di quel « favoloso » periodo beefheartiano fu senza alcun dubbio il doppio album « Trout mask replica », uno dei più grandi gioielli dell'underground americano. In seguito, rotti i ponti con Zappa, Beefheart affrontava un cammino musicale più interiore, più intenso, e formalmente più disteso, e approdava alla etichetta discografica inglese Virgin, punto di incontro quasi obbligato per tutti i musicisti dell'emarginazione. Riconciliatosi con Zappa, incideva insieme a lui, nel 1974, l'ottimo album « Bongo fury». In seguito, una lunga vertenza legale con la Virgin lo teneva immobilizzato per oltre un anno.
Oggi finalmente sembra che la vertenza si stia chiarendo: il suo album più recente, « Bat chain puller », potrà quasi sicuramente vedere la luce tra qualche settimana, dopo essere stato tenuto in frigorifero per oltre un anno. Oiscioltasi la vecchia gloriosa Magic Band (Beefheart, come tutti i geniali, ha un caratteraccio ... ), una nuova Magic Band è ora sulla strada, e il vecchio Captain ne è entusiasta: la Band comprende oggi il batterista John French (unico superstite della vecchia formazione). « Tapiro » Morras [Moris Tepper] e Denny Walley alla slide-guitar, Eric Feldman al basso e al sintetizzatore e Robert Williams alle percussioni. Beetheart e pronto per la «rentrée », e questa è la sua ultima assurda ...
● INTERVISTA
O.: Ma adesso vivi in Inghilterra o in California?
R.: Non so se puoi capirlo veramente, ma io non ho una vera e propria casa ... Voglio dire, posseggo un terreno in California, ma non ho una casa. Così vivo fuori, nel deserto californiano, e ci sono uscito solo per incidere « Bongo fury » con Zappa. Sto benissimo nel deserto: ci sono molti coyotes, e io spesso urlo insieme a loro. Io amo gli animali: un musicista della mia nuova band si chiama Jeffrey Tepper [Jeff Moris Tepper], ma lui vuole essere chiamato « Tapiro » Morras: anche lui ama gli animali.
O.: E la tua nuova band?
R.: Questa band è così buona ... la migliore che io abbia mai avuta. Suonano come se fosse una passeggiata. E' vero, devono suonare quello che io ho scritto, ma si muovono con tale armonia che molto presto io non dovrò dir loro più nulla. Non ho parole per dire realmente quanto essi suonino bene. Soltanto una volta nella mia vita ho visto una band che suonava con lo stesso spirito della mia. Era il gruppo di John Coltrane (uno dei più grandi e rivoluzionari sassofonisti del jazz moderno, oggi defunto, e maestro indiscusso di Beefheart, n.d.r.) del 1960, con Elvin Jones alla batteria, McCoy Tyner al piano e Jimmy Garrison al basso. Quando suonavano, era una cosa magica. Mi dissi che io avrei avuto un gruppo come quello, un giorno. Questa band era come una scultura vivente, e adesso io ce l'ho.
D.: Sarà sempre una musica venata di follia, la tua attuale?
R.: Io ho sempre pensato che la follia consista in vari gradi di sconnessione: questo è il mio modo di essere. Uno dei miei idoli è appunto Van Gogh; dicono che fosse pazzo, ma per me era uno degli uomini più savi del suo tempo. I suoi quadri erano musica, poesia, scultura ... tutto insieme, su tela.
D.: E il tuo sassofono? Come lo consideri?
R.: Io produco suoni che altri musicisti non riescono ad ottenere. lo tiro i suoni fuori da me stesso, nella maniera opposta a quella usuale, che è quella diìnventare suoni riproducibili su un formale spartito. Non ho mai sentito gente capace di suonare il corno o il sassofono come lo faccio io.
D.: Perché si è sciolta la vecchia Magic Band?
R.: E' stata una cosa assolutamente stupida. Si erano montati la testa, e mi hanno lasciato per mettersi per conto loro. Non mi sembra che se la siano cavata molto bene, senza di me.
O.: E la tua vertenza con la Virgin?
R.: Non mi va di parlarne. Queste cose legali mi hanno bloccato. Tra poco il mio album « Bat chain puller » uscirà per un'altra etichetta, e io uscirò da un incubo.
O.: Che tipo di musica ci sarà?
R.: Non mi va di parlarne. Preferisco parlare di cose più sconvolgenti, come per esempio quella ragazza che tre giorni fa, durante il nostro concerto d'esordio, a Parigi, ha interrotto il concerto e ha recitato tutti i testi del mio album « Trout mask replica », che come sai è doppio: e l'ha fatto parola per parola!
M. Insolera