Zappa

By Massimo Bassoli & Michael Pergolani

Popster, April 1978


Come tutti gli anni, di questi tempi, si parte in processione. Dopo l'autunno passato tra le high-way americane viene l'inverno consumato sulle stradine europee tra pioggia, freddo e neve. È la vita di chi fa concerti per il mondo e Frank Zappa di concerti ne fa tanti. Ha capito che quando non sei promosso dai canali classici (ricordate «Distruggi la tua maledetta radio che non trasmette la nostra musica!») è meglio che lo fai da solo, sei mesi l'anno passando da un albergo ad un altro. Ed ecco così l'arrivo all'Hyde Park Hotel di Londra di Mr. Zappa e Mr. Smothers, assistente, segretario, guardia del corpo uscito paro paro dalle pagine dello «Zio Tom» che dall' alto dei suoi tre metri di altezza sentenzia: «Questa fottuta televisione inglese è uguale a quella americana, fa schifo». E sigratta la schiena sull'elegante schienale della poltrona con fare ondulato e noncurante della propria camicia hawayiana fosforescente. L'America.

Questo articolo è la testimonianza di una settimana zappiana passata a Londra con annesso zampino di Michael Pergolani che ha voluto incontrare il «pachugo». «Non c'è stato nessuno, durante tutta questa settimana, del tuo paese che sia venuto qui per l'inizio del tour». Ha rimproverato Frank. «Beh, eccoci! Ad ogni modo c'è un mio amico della televisione che si chiama ... .

Michael Pergolani

Le visite in Inghilterra di Frank ZAPPA (seviziato e seviziatore) sono state sempre caratterizzate e lo spettacolo è sempre gratis - da tutta una serie di avvenimenti di volta in volta in bilico tra un giallo alla Hitchkock, una commedia rosa protagonista Gary Grant, ed un fumetto underground tipo «Freak Brothers»; il terzultimo tour fu realizzato dalla causa contro la Regina Elisabetta Il responsabile, secondo lo «strangolatore di Manhattan», del rifiuto di suonare impostogli all'ultimo momento dalla Royal Albert Hall (empio piuttosto schifittoso della musica ufficiale britannica); invece registrò un incidente sul palco con conseguenti libelli, legalizi e cause varie, ed una sgradevole irruzione della polizia alle 5 di mattina negli appartamenti che ospitavano la band ed i tecnici, alla ricerca isterica di qualsiasi sostanza dagli effetti poco chiari e quindi assai illegale.

Risultato: quattro arresti. Zappa? Zappa libero come un passero perché assente mentre si perpetuava il misfatto.

Noi Frank lo siamo andati a vedere l'ultima sera dei suoi 4 concerti all'Odeon di Hammersmith. Visto però che non sono uno particolarmente «strippato» per Zappa, vista anche la presenza a Londra di Massimo Bassoli illustrissimo e dottissimo Prof. di Zappologia Comparata, vi riporto unicamente per puro titolo di cronaca (la sua brillantezza a parte) l'intervista che il MANIACO ci ha donato in quei cessi di camerini che appunto sono quelli dell'ODEON (ogni riferimento alla omonima trasmissione televisiva è puramente casuale).

M.P.: Frank!!!

F.Z.: Hallooo ...

M.P.: Tu sei sempre stato un eroe da vero e proprio culto. Che tipo di culto, che tipo di eroe?

F.Z.: Lo stai dicendo tu, non io ... (digrigna i denti e si scompone la capigliatura).

M.P.: Lo dicono in molti ...

F.Z.: Allora parla con loro.

M.P.: Volevo dire che la tua musica è ascoltata da una minoranza ...

F.Z.: Giusto (mi guarda come Peter Cushing in «La moglie di Dracula» N.d.R.).

M.P.: Che tipo di minoranza è?

F.Z.: Gente che non ha nulla di meglio da fare.

M.P.: I tuoi album non vendono molto. Non hai mai avuto una vera hit.

F.Z.: Oh, no ...

M.P.: Come sopravvivi?

F.Z.: Vendo matite. È diverso dai miei antenati che erano soliti vendere banane ... E una questione di inquinamento: le banane sono pericolose le matite molto meno.

M.P.: Come definisci la fissazione che hai per i mass-media? Che pensi della TV? Guardi molto la televisione?

F.Z.: Un po'.

M.P.: Che tipo di rapporto hai con i mezzi d'informazione e spettacolo? Li ami, li odi, cosa?

F.Z.: Mi divertono ...

M.P.: Pensi che siano importanti?

F.Z.: Naturalmente, specie per la gente che ci si guadagna da vivere ...

M.P.: Proprio come me ... C'è una differenza tra il vero Zappa e quello che ci propinano i giornali?

F.Z.: Oh certo, quello che vedi in televisione è un mio impiegato. Ne ho un altro che vende matite.

M.P.: Ti importa di quello che la gente dice di te?

F.Z.: No, per niente.

M.P.: Cosa pensi della gente?

F.Z.: Non mi piacciono.

M.P.: Come persone od in genreale?

F.Z.: In generale. Faccio qualche eccezione per qualche individuo ... in generale però la gente è un conglomerato di stronzi.

M.P.: E loro vengono a vedere i tuoi concerti ...

F.Z.: Vengono a vedere i miei concerti come vanno a quelli di qualsiasi altro. Sono degli stronzi ... anch'io sono stronzo ...

M.P.: Non sono per caso i soldi a farlo andare avanti? ... il sesso ...

F.Z.: Niente, è una merda noiosa ... non credi?

M.P.: Che pensi del sesso?

F.Z.: Che penso del sesso? Divertente, non ti pare?

M.P.: Si. ..

F.Z.: Voglio dire che anche voi italiani ...

M.P.: E tu in America?

F.Z.: Oh no, io lavoro soltanto.

M.P.: Dai giornali viene fuori che ami particolarmente i pazzi, la follia. Cosa pensi che sia la pazzia? Fa parte del genio o è solo qualcosa di anomalo?

F.Z.: Quello che hanno riferito i giornali è il solito errore di interpretazione. Quello che ho detto è che senza deviazione non è possibile il progresso e quindi chiunque devia dalla norma viene considerato pazzo. Sono favorevole alla gente che tenta strade diverse ... natura/mente per il progresso e non per fare violenza agli altri.

M.P.: Sarebbero le persone che in un modo o nell'altro poi fanno storia ...

F.Z.: Si, alla fine fanno storia. È possibile che non verrai mai a conoscere i loro nomi, i nomi di quelli che fanno il primo gradino ... potrebbe benissimo essere lo «scemo del paese», potrebbe benissimo essere lui quello che fa il primo passo. La società ha bisogno di gente di questo tipo.

M.P.: E sempre di più ...

F.Z.: Sì, ogni anno che passa ne hanno più bisogno ... il fatto è che poi continuano ad isolarli sempre di più.

M.P.: Il sistema li isola. Cosa pensi del sistema?

F.Z.: Una palla ... la cosa peggiore è che è costituito di gente come me, come te, di gente regolare.

M.P.: Che rapporto hai con il sistema?

F.Z.: lo lavoro soltanto.

M.P.: Come hai iniziato?

F.Z.: Presi la decisione di voler suonare ed il caso volle che a quel tempo c'era uno strumento sul quale potevo suonare. Se quello strumento non fosse stato a portata di mano, probabilmente ora non sarei un musicista.

M.P.: È noto che non dai molto spazio ai musicisti che lavorano con te. La musica chealla fine viene fuori è esattamente quella che avevi in testa, o no?

F.Z.: Cerco sempre di realizzare esattamente quello che ho in testa, ma è chiaro che dipendendo l'esecuzione da altri musicisti, non viene mai la copia perfetta di quello che immagini.

M.P.: Ho saputo che stai cercando di realizzare un film ...

F.Z.: Sono anni che sto cercando di mettere insieme un film.

M.P.: Sarà un film imperniato su Zappa?

F.Z.: Si chiama «SERPENTI APPENA NATI».

M.P.: Che tipo di film sarà?

F.Z.: È un film sui serpenti appena nati.

M.P.: Poteva Zappa essere nato al di fuori dell'America?

F.Z.: Sicuro ...

M.P.: Dove?

F.Z.: Io porto io stesso nome di mio padre: lui è nato in Sicilia ... Come vedi è già successo, gli incidenti accadono ...

M.P.: Che parte dell'America rappresenti, se ne rappresenti una?

F.Z.: Non rappresento granché del paese. Rappresento tutta quella parte che gli stranieri, i turisti non avranno mai modo di conoscete.

M.P.: Cosa odi di più?

F.Z.: Odio la gente che ti fa perdere tempo, specie quella che fa perdere il mio tempo. Il tempo è una cosa che non puoi più riprendere ... Vola via ... . Vola via per sempre ...

M.P.: Ma tu fai soldi o no?

F.Z.: Se faccio soldi? Cosi così. Tu capisci ... qualche matita qui, un concerto lì ... qualche mezza giornata a lavare piatti ...

M.P.: Una vitaccia.

F.Z.: Tu queste cose dovresti capirle bene visto che sei italiano. Non sono nato abbastanza intelligente da fare il cameriere.

M.P.: Sei conosciuto come uno che non disdegna il denaro. Ti eccita fare soldi?

F.Z.: Assolutamente no ... un casino, significa cento telefoni che suonano allo stesso momento ...

M.P.: Voglio dire: ti eccita «rubare» un contratto vantaggioso con una casa discografica?

F.Z.: No, non puoi rubare. Loro hanno i soldi. Che fai, gli vai davanti, li ipnotizzi e poi gli dici «caccia la grana»?

M.P.: La tua musica è rock 'n roll, classica o cosa?

F.Z.: È solo della musica.

M.P.: Suoni per divertirti?

F.Z.: Oh sì, solo per divertirmi.

M.P.: Se non ti divertissi continueresti a suonare?

F.Z.: Sì.

M.P.: Per i soldi?

F.Z.: Continuerei a suonare perché è l'unica cosa che sono capace di fare.

M.P.: Ma se non ti dovesse più divertire?

F.Z.: Se non mi dovesse più divertire, probabilmente smetterei.

M.P.: Sei uno che ha sempre «shockato» la tente. Ti piace sconvolgerli perché alla gente piace venir sconvolta o perché ti diverti?

F.Z.: No, io faccio quello che faccio ... poi essendo la gente una manica di ritardati il risultato è che li sconvolgo. Non lo faccio apposta, non è premeditato. Io faccio certe cose solo perché mi sono naturali.

M.P.: Tu sei stato in Italia qualche anno fa. Cosa ti è rimasto più impresso del mio paese?

F.Z.: La cucina. È TUTTO.

* * *

L'approccio con Frank è sempre traumatico. Riesce a nascondere la propria estrazione, le proprie meditazioni sotto una patina di decisione, di sicurezza e di distacco. La musica rispecchia tale stato di cose, ma non del tutto, a ben seguire gli avvicendamenti nel corso degli anni si riescono a focalizzare le radici, il nucleo determinante per la musica e per l'uomo. «Non puoi amare l'America, non puoi conoscerla, non puoi parlare di lei, non puoi esaltarla o giudicarla male perché non la vivi. Tu non sa, cosa sono un paio di jeans, anche se li porti, non sai cosa è la televisione e nemmeno cos'è un hamburg». Mi viene in mente Pomona, luogo della sua adolescenza, estrema periferia disumana di Los Angeles, LA. La città più grande del mondo ed anche la più popolata. I vapori di benzina che fuorisciti dalle macchine che sono più di una per abitante e che insieme alle nebbie del Pacifico creano una cappa di smog opprimente. E un mondo meccanizzato che vive 24 ore su 24 tra un telefono, un'automobile ed un transistor. L'etere è saturo di miriadi di canzoni che, secondo i canali, vanno dal Rhythm & Blues al Rock passando per il Country, il Jazz, la lassica e quelle cose senza storia che servono a sonorizzare gli ascensori, le stazioni di servizio ed i supermercati: la muzak. Sono gli anni '50, queste bande dominano alcuni quartieri e la stessa polizia le teme. È una specie di gioco sociale nuovo in cui ciascuno si dà un ruolo come al cinema, forse per sentirsi vivere. Perché il vero pericolo è altrove: nel gigantismo aberrante, nelle classificazioni sempre più dure imposte agli individui, nella corsa al benessere del dopoguerra che ha il solo scopo di accumulare oggetti e di far contrarre debiti per il loro acquisto.

I ragazzi si annoiano. Rifiutano questa macchina infernale che è stata preparata per loro e nella quale prima o poi si tenterà di inserirli. Frank di tutta questa situazione ricorda una noia senza fine, la difficoltà a trovare degli amici con cui divertirsi un po', la povertà di stimoli nell'atmosfera famigliare, dominata dalla televisione: «Ho sempre pensato che i miei genitori vivessero in maniera noiosa. Passavano la maggior parte del loro tempo a guardare la televisione. Io volevo divertirmi. Così mi sono rivolto in un'altra direzione».

L'altra direzione è la musica. Il tempo era giusto perché ciò avvenisse; c'era una cultura, che si stava formando, adatta ai giovani, fatta di suoni ed atteggiamenti, di cantanti simili a loro, che parla del loro mondo, dei loro codici, dei loro rituali. Ecco perché è giustificabile l'imbarazzo di George Duke di fronte alla richiesta esplicita di Frank, il giorno del provino per trovare un tastierista: «Devi suonare il rock 'n roll degli anni '50». -- «Ma non è la tua musica!» -- «Non è vero è esattamente la stessa struttura». Poi Webern, Stravinsky ed Edgar Varese hanno fatto il resto.

Eccoci così a fare i conti con un personaggio che da inquietudine, che fa trasparire dalla sua musica ciò che non si potrebbe immaginare una volta rimasti vittime dell'immagine che egli stesso propone: «Sono completamente devoto al mio ideale estetico. Il concetto americano di gioventù presume che tutti i ribelli tornino prima o poi all'ovile, rientrino nel gregge. Ma noi, non ci possono ignorare. Anche se le "idee che stanno dietro alla nostra musica non piacciono, la si deve ascoltare perché è dappertutto». È l'inizio della formulazione del principio cardine del lavoro di Zappa: la continuità concettuale: «Per me, l'arte della composizione è l'arte di mettere insieme qualunque cosa. L'imballaggio è in certa misura l'estensione dell'opera stessa. Se la persona che si porta a casa uno dei nostri prodotti ha abbastanza senso della prospettiva da mettersi a sedere ed osservare l'intero imballaggio, bhe, penso che scoprirebbe alcune idee inusuali piuttosto carine».

Infatti la sua tecnica è sempre stata quella di prendere i clichès propri del grande spettacolo musicale affaristico, dell'Highschool, che è stato il filone musicale della fine anni '50 legato alle scuole superiori, sdolcinato ed esaltante i valori piccolo borghesi, di collegarli con brevi motivi declamatori di propria composizione e di fondere l'intera faccenda in un quadro satirico, surreale da incubo americano. Ed a tutt'oggi, poco è cambiato, almeno nella struttura, nella concezione della propria musica e dello spettacolo. Certo è stata venduta l'anima al diavolo; sono cambiate delle situazioni, tanto tempo è passato da quando fu conosciuto per la prima volta in Europa grazie ad una foto apparsa nell'Internationale Times che lo ritraeva seduto sul cesso. Abili commercianti fecero di quella foto un manifesto che fu venduto per anni.

Quando Zappa in persona arrivò in Europa, la gente si meravigliò. S'erano aspettati un selvaggio, un malvaggio spauracchio per bravi borghesi, ed invece si trovarono di fronte un uomo intelligente e sicuro di sé, direttore di un complesso le cui composizioni meritano in gran parte l'attributo di geniale. Un'altra costante del lavoro di Zappa: la perenne manipolazione diretta o meno, voluta o casuale, del proprio operato. Il tentativo costante di vendere un'immagine precisa che non è mai quella reale. Da qui i continui problemi con le case discografiche e anche lo stimolo, l'esigenza di totalizzare il proprio lavoro, curarlo nei minimi dettagli: lo spettacolo, il disco, la copertina, le foto, le dichiarazioni. Una sorta di «Controllo dei Media» che Zappa ha insegnato ad operare.

Ogni sua intervista, non ultima quella che pubblichiamo di Michael, va letta, guidata ed interpretata. Al di là dell'aspetto ironico, quello più immediato, si scopre una precisa posizione nei confronti delle cose della vita, di ciò che fa andare avanti il mondo -- non ci sono dubbi è il denaro -- delle fo delle fobie sessuali. Ma poi a ben vedere si nota che tale atteggiamento, tale lucidità mentale non è poi totalmente protesa verso un'analisi sociale; prima ancora c'è un'altra cosa: lui, l'uomo. All'improvviso si scopre che ciò che fà lo fa priina di tutto per se, perché ha rifiutato, fin dagli anni della gioventù che abbiamo descritto, i canoni tradizionali, imposti con cui la gente comunica. Fino a correre il rischio di divenire quello che poi è: scontroso, assente, distaccato pur se in certe occasioni gentile e cordiale.

Una nostra amica si sarebbe già lanciata in una sequela di giudizi sul grado di insicurezza etc. etc. dando ampia dimostrazione di un fenomeno di questo periodo, quello dello psicologismo selvaggio. Con Zappa non è così semplice. Probabilmente lui stesso ha deciso di fluttuare tra un immagine di coerenza ed una altra di contraddizione, purché possa garantirsi di fare ciò che ama di più fare: la musica. L'unica maniera reale che ha di comunicare, probabilmente prima che con gli altri con se stesso. E poi c'è sempre da considerare lo scarto di cultura. È americano fino in fondo e sa di esserlo. La sua voce, nonostante la sensibilità che dimostra nelle cose di cui parla e nel suo lavoro, è quella comunissima e qualunque piena dell'accento di Pomona, quando non la imposta.

La visione europea dei fenomeni è nota, la nostra tradizione culturale ci pesa al punto tale che spesso diviene solo un handicapp. Per l'America è diverso; osserviamo Zappa nel suo vestiario, in jeans e maglietta appare molto sobrio, ma le scarpe le concede all'immagine di star; altissime e di pitone. Parliamo della gestualità scenica, del recupero di un action ogni qualvolta si mette a dorso nudo sul palco e risponde che l'unico reale motivo per cui lo fa e che con la maglietta suda e non riesce a suonare in modo confortevole. Discutiamo a lungo sui «media» portando ad esempio il suo atteggiamento costante nei loro confronti e lui spiega che non esistono atteggiamenti, che dei media se ne frega perché sono solo delle rotture di scatole, il cui unico scopo è quello di vendere, di fare soldi in tutti i significati più reconditi. Ed allora? Non è vero niente? Allora Zappa è solo uno strano, probabilmente pazzo, che fa del rock smerciandolo per altro, un furbo, un manipolatore? Perché no, Perché terrorizzarsi di fronte a ciò!

Certa cultura poco ufficiale degli anni '60 diceva: «È vero anche se non è accaduto». Non è determinante soffermarsi sulle intenzioni, conta il risultato, ed il peso, il seguito, l'influenza che esso ha. È esattamente quello che Zappa tenta di dire da anni.

Terry Bozzio, attuale batterista del gruppo ed ultima figura determinante, in ordine di tempo, per la musica di Frank, dice: «Sono quattro anni che suono con lui e sinceramente ancora non ho capito se ciò che fà è sincero oppure solo una esigenza di soddisfare il proprio mercato, o ancora, casuale. È impossibile capirlo dalla personalità di Frank, che tra l'altro è capace di stare settimane in tour con te senza neanche guardarti in faccia, completamente isolato dal mondo. Ma non è importante, la sua musica è incredibile, tutto sprizza intelligenza e divertimento, mi basta». Poi la sua viva voce entra in campo su questo argomento: «Mi accusano di essere cinico, ovviamente lo sono. Non potrei essere altrimenti in questo tipo di società, odio i luoghi cumuni, la gente che mi fa perdere tempo, il falso perbenismo. Con i musicisti, che devono suonare la mia musica, ho un rapporto preciso: li pago e loro devono lavorare, esattamente come gli chiedo di fare».

Appare terribile, ma Zappa non dimentica che non si può togliere l'aria alla gente, i suoi gruppi hanno sempre avuto questa caratteristica allarmante di non far sentire mai l'avvicendarsi dei musicisti, era sempre e solo la musica di Frank Zappa.

Ma questa musica si evolve, si trasforma e l'ispirazione viene anche dal contributo strumentale dei musicisti. Zappa non lo dice ma lo lascia fare. Gente come Roy Estrada, Ponty, Duke, Napoleon Murphy Brock e lo stesso Bozzio hanno dato molto al proprio leader, che non si è fatto mai sfuggire la preda: «Quello che più mi interessa è il mio lavoro, e lo voglio fare senza ostacoli, nel migliore dei modi. Sempre. Ogni cosa nella mia vita è musica perché ogni cosa nella vita è spettacolo. Ora che sto parlando con te sto facendo uno spettacolo per te. Quando uno ascolta un mio disco, sto facendo uno spettacolo per lui, a casa sua. Il concerto che facciamo ora è strutturato diversamente da quello che facevo con il vecchio nucleo delle Mothers. Ma è solo perché cerco nuove forme di comunicazione nello spettacolo.

Mi ricordo a New York, al Garrick Theatre, avevamo un sistema particolare composto da un filo che correva dal casotto delle luci, sul retro del teatro, fin sul palcoscenico, e il tizio delle. luci doveva inviare roba giù per il filo. Prima di tutto, magari, un baby-doll a maniche distese seguito da un salame che si sarebbe ficcato nel culo del baby-doll. Ma la nostra grande attrazione era la giraffa morbida. Piazzavamo sul palcoscenico questa grande giraffa impagliata, con una canna che arrivava in un punto situato tra le sue zampe posteriori. Ray Collins doveva avvicinarsi alla giraffa e massaggiarla con un burattino a forma di ranocchio; ed allora la coda della giraffa si sarebbe irrigidita e le tre prime file della platea sarebbero state inondate dalla panna montata sprizzante dalla canna. li tutto, naturalmente, con accompagnamento musicale. Era il pezzo più popolare del nostro spettacolo. La gente lo richiedeva di continuo. Ora non c'è più tutta questa architettura scenica ma la costante esigenza di fare spettacolo si, sempre».

Infatti sono passati gli anni, ora Frank sa fare lo show-man tutto da solo, una volta aveva delle difficoltà. Delegava alcuni personaggi delle Mothers, lui restava appena un passo indietro a controllare e dirigere il tutto. Poi venne Napoleon Murphy Brock colui che più di ogni altro è riuscito a dare qualcosa a Zappa sul piano umano. La sua presenza scenica, oltre alle incredibili doti musicali, hanno indicato una nuova tendenza scenico-musicale. Zappa ne ha fatto preziosa lezione, ricordate Napoleon visto in Italia nel '74 saltellante ed infaticabile sul palco con il sassofono in mano?

Quindi ancora l'informazione sotto forma di spettacolo: «Negli Stati Uniti, ma anche nelle altre parti del mondo, la maggior parte dei giovani che ascoltano musica pop non hanno mai visto un'orchestra. A mala pena sanno cos'è. E se mai ne hanno vista una, è stato in televisione, in formato 45x35 cm. Non conoscono le orchestre, non conoscono il jazz, ne la musica sinfonica. Conoscono solo il rock 'n roll Ora visto che combiniamo musica sinfonica, jazz e brani parlati del teatro dell'assurdo, trasportando il tutto su una base rock 'n roll, possiamo dare a questi giovani un mucchio di informazioni nuove».

Da qui spesso sono arrivate le accuse di mistificazione, di essere capace di servirsi con abilità dei media per ottenere credito. Se fosse stato così in tutta la sua lunga storia non sarebbe andato lontarb. Un bel giorno le maschere finiscono sempre con il cadere. La sua preoccupazione principale è fin dall'inizio, anche all'epoca della oscurità più nera, la musica come prima cosa. Il resto, e non lo nasconde, non è che un modo divertente di presentarla, di renderla attraente, di risvegliare nel potenziale ascoltatore un interesse che non sia limitato da qualche aspetto esteriore convenzionale o semplicemente divertente. L'humor i contrasti fra le parole, le frasi che si incastrano, il linguaggio sempre manipolato, reinventato, i pensieri mordaci fanno parte di una riserva a lungo premeditata per captare l'attenzione, non lasciare che si addormenti, mantenerla sempre viva, pronta, lontana da ogni sistema di riferimento.

I vestiti colorati, i capelli scarmigliati, le smorfie sono state anch'esse premeditate, studiate per un certo fine: presentare un insieme che tenga, che conservi una certa unità di tono e traduca la volontà del compositore di sorprendere, di provocare uno stato di coscenza che liberi per un momento da ogni abitudine di visione, di ascolto, di sensibilità. La confezione dei dischi è curata per attirare l'attenzione di un certo tipo di clientela, puro richiamo dato dalle leggi della comunicazione visiva, ma anche per rappresentare graficamente quello che si trova all'interno. Zappa all'inizio se ne preoccupava in prima persona facendo del collage e dell'anti messaggio come sul retro della copertina dell'album Freak Out: «Questi Mothers sono pazzi, non piacciono a nessuno nella mia scuola, soprattutto da quando il prof. ci ha spiegato il significato delle parole delle loro canzoni. Firmato Suzy Crealcheese». Insomma ieri come oggi per Zappa il potere è nell'immaginazione; e la musica non fa che scorrere per quell'ipotetico itinerario, poi chi ha gli strumenti per capire l'operazione tira le somme, altrimenti è la stessa cosa:

Ho la forfora in testa
ed il mio alito è verdastro
so di non essere bello
e la mia voce è kaputt
ma non mi importa
sono abbastanza pazzo
per cantarvela
in qualsiasi maniera
calcolo che le probabilità
sono al 50 per cento
e potrei avere qualcosa
da dire
non canterò canzoni d'amore
su come è aggravato
il mio cuore
non supplicherò l'indulgenza
perché già si è sentito.
Ti ho rubato il tempo
ho cantato la mia canzone
che non era
una grande rivelazione
ma non era
neanche troppo lunga.

Null'altro. Anche troppe le parole, resta la musica con cui ognuno fa i conti, ascoltandola. Il ricordo dei concerti, il fiume di sensazioni che riporta alla mente, e non solo. Due ore e mezzo di un delicato mosaico di stili e tendenze diverse presentato anche per l'abilità degli ormai fidi Terry Bozzio alla batteria e Pat O'Hearn al basso coadiuvati da un altro chitarrista ancora, Adrian Below.

Immagini e citazioni ovunque; Bob Dylan che suona l'armonica, Peter Frampton che diviene l'inspiratore per una parodia «I Have Bee in You» tutta doppi sensi e disco-music, Jimi Hendrix come ottima tappezzeria per i muri della stanza di un teenager e « Punk Y Meadows» come spunto per giocare sull'imbecillità del rock (costui è il chitarrista degli Angel, per i meno informati). E poi tanto dialogo col pubblico, che sale sul palco e balla, nella migliore delle occasioni, oppure si lancia in una sfrenata e non mimata scena d'amore con Zappa come ha fatto la seconda sera di concerto tal Gloria Dimambro, ragazza inglese di origine italiana, ovviamente!

Il tutto sovrastato dalla musica che cresce, si espande, vola, si usa, si consuma e, come mima Frank al termine del concerto accartocciando lo spartito, si butta.