Frank Zappa & la guerriglia legale
By Guido Harari
« Zappa In New York » e' il nuovissimo disco del baffuto chitarrista americano impegnato in una lunga bagarre legale con la propria casa discografica. Beghe a parte il disco finalmente uscira' ...
« Does this kind of life 'look interesting to you? » (« vi pare interessante questo tipo di vita? «) occhieggia Frank da un fornetto del "booklet" ufficiale dato alle stampe dalla DiscReet nel '74 in occasione del primo decennale delle Mothers Of Invention. Più la "musique" zappiana sfida il grigio trascorrere del tempo, incagliandosi magari nelle secche d'una realtà meno creativa del previsto, e più quel quesito acquista un senso ben preciso, illustrando impietosamente la piattezza di un r'n'r ridotto a bieco "bizniz".
E' questo il caso dell'estenuante guerriglia legale, in corso da oltre un anno tra FZ e la Warner Bros., che ha fatto da colonna sonora alla laboriosa pubblicazione dell'opera più recente del chitarrista: « Zappa In New York ». Val fa pena stilarne brevi appunti. Entro la scadenza del contratto (fine-dicembre '77), FZ avrebbe dovuto consegnare alla casa di Burbank quattro albums: « Live In New York», « Hot Rats III », « Studio Tan » e « Zappa Orchestral Favourites », per un totale di tre ore e mezzo di ascolto. Ostenendo d'aver recapitato i nastri secondo le clausole contrattuali, il musicista ha accusato a sua volta la Warner di non avergli corrisposto l' "advance" di 60.000 dollari per album, già pattuita.
L'estate ,passata si arrivò a parlare di un'unica confezione, contenente i quattro dischi e denominata « Lather », misteriosamente "rifiutata" dalla EMI e dalla Phonogram. Infine, poco dopo, la WEAS prese a dare il massimo risalto promozionale (almeno, negli Stati Uniti) al primo dei quattro lavori, « Live In New York». Di qui un'ulteriore inasprirsi della causa che ne ha impedito per diversi mesi la pubblicazione, avvenuta miracolosamente a più d'un anno dalle registrazioni originali ... « it's only r'n'r', but I like it ».
• DALLA A ALLA Z
Realizzato al Felt Forum e al Palladium di New York sul finire del '76 con la partecipazione di « 27.500 pazzi fanatici », « Zappa In New York » non è dunque ila miglior chiave di lettura dell'attuale rotta creativa dell'ex-freak di Cucamonga. Appare piuttosto come l'ennesima dispensa di un'interminabile enciclopedia « The Complete FZ »: forse meno consistente delle precedenti, ma altrettanto imperdibile.
Imperdibile, proprio perché, qui assai più che in altri lavori, pare di cogliere una sottile angoscia dell'uomo e del musicista. Laddove la ribalderia di « Over-Nite Sensation » avrebbe soltanto messo a soqquadro la scientifica "seriosità" di « Grand Wazoo », « Zappa In New York » rivela l'eterna incertezza di una creatività che finisce per mordersi la coda, chiusa nel vicolo cieco di una "continuità concettuale" rivelatasi in tempi recenti pericoloso deterrente creativo. L'irripetibilità d'un tempo cede oggi lo scettro alla prevedibilità, seppure d'altissimo livello (persino al "nadir" ispirativo, FZ rimane un vero "intoccabile").
In tal senso il disco – come probabilmente pure gli altri tre non ancora pubblicati – ricarica la molla di una ben nota sarabanda di suoni e di colori, di spunti inconfondibili e di trovate irresistibili raccattate ovunque: rock, jazz, doo-woop anni 50, avanspettacolo, teatro dell'assurdo, avanguardia contemporanea e così via.
A questo contribuisce in misura considerevole il sorprendente organico del gruppo (undici + uno), vera e propria "big band" al cui nucleo-base (l'ex-Roxy Music Eddie Jobson alle tastiere, Ray White alla chitarra e al canto, Patrick O'Hearn al basso e il fido Terry Bozzio ai tamburi) vanno a sovrapporsi per l'occasione i fratelli Randy (tromba) e Mike Brecker (sax tenore, flauto). Lou Marini (sax alto, flauto), Ronnie Cuber (sax baritono, clarinetto), Tom Malone (trombone, tromba, piccolo), David Samuels (timpani, vibrafono) e la formidabile Ruth Underwood (percussioni, sintetizzatore): una formazione straordinaria, in grado di ripercorrere qualunque sentiero dell'ars zappiana, ed un clamoroso ritorno a certa magniloquenza strumentale tipica del periodo « Waka/Jawaka »/« Grand Wazoo ».
• RECUPERI MUSICALI
Ad inaugurare il campionario musicale è l'introduttiva « Titties & Beer », nuovo "epicum" di sordida volgarità nella medesima vena erotico-scatologica di « Over-Nite Sensation ». Giostrata su un innocuo tempo funky e "ravvivata" da un lungo dialogo centrale tra FZ e Ray White, la canzone la dice lunga sul "piatto" preferito del chitarrista (!).
« Sensibile ballata strumentale per un facile ascolto a tarda notte », la successiva « I Promise Not To Come In Your Mouth » fa capo al jazzismo svelto ed elegante che già fu di « Blessed Relief », con eccellenti assoli di FZ alla chitarra e di Jobson al moog. Il singolare titolo – « prometto di non venirti_in bocca » – si guadagna un posto di diritto nel gran bestiario umoristico del musicista. Anche qui l'inalienabile smania di « re-make » spinge Zappa a recuperare dal passato due piccoli gioiellini come « Big Leg Emma », « golden oldie » strappato ai ricordi New York/Garrick Theatre/1967 e condito con la medesima euforica cialtroneria dylaniana di « Rainy Day Women », e « Sofa », valzerone teutonico apparso su « One Size Fits All ». Le note di commento di FZ a quest'ultimo brano misurano la esatta distanza tra il genio iconoclasta d'un tempo e l'uomo prudente d'oggi: « poiché quelalbum non ebbe un gran successo, questa versione potrebbe indurre qualche curioso a riascoltarselo » ... mmm.
In pochi secondi, tra le righe di un esercizio stilato per la rivista « Guitar Player », « Manx Needs Women » recupera quasi trionfalisticamente la deliziosa anarchia elettronica (persino nelle stesse sonorità) che fu di « Uncle Meat », una delle opere fondamentali delle Mothers. Proprio in questo breve brano e nella suite « The Purple Lagoon » (di cui si dirà più avanti), è possibile cogliere l'assurda dicotomia tra lo Zappa-"serioso" sperimentatore di suoni e lo Zappa-bieco artefice di "inutilia" d'effimera portata (« Titties & Beer », ad esempio).
Introdotto da un fittissimo dialogo della batteria di Bozzio e delle percussioni di Samuels e della Underwood, il tema di « The Black Page » dovrebbe costituire, almeno nelle intenzioni del suo autore, « l'anello di congiunzione mancante tra "Uncle Meat" e "The Be-Bop Tango"». In realtà, più che i sofisticati funambolismi della quarta "side" di « Roxy & Elsewhere », tornano alla mente le bizzarre poliritmie e le spigolose melodie del celebre "doppio" della Bizarre. Quando poi il baffuto chitarrista bofonchia « questa è 'The Black Page Part Two. The Easy Teenage N.Y. Version », invece di diluirsi, il tema si complica ulteriormente, stratificandosi continuamente sull'essenziale ritmo "disco" scandito dalla sezione ritmica di Bozzio e O'Hearn. E' forse il momento migliore del disco, FZ allo "zenit". Gustosissimo il finale dalla strascicata andatura fumosamente "jazzy", sottolineata dai fiati ancora una volta ammalati di "Grand Wazoo".
« Giusto un'altra canzone d'amore », «Honey Don't You Want A Man Like Me? » ripassa gli appunti della peggior oleografia sentimental-insipidoamorosa ("fellatio" conclusiva permettendo) per regalare un altro quadretto d'America à la Zappa, sino a sfociare In un ennesimo "inno", « The Illinois Enema Bandit ». Annunciato da Don Pardo nel più puro stile "prossimamente su questi schermi" e cantato poi a squarciagola da Ray White, il brano è un altro di quel blues maledetti nella tradizione di "More Trouble Every Day", ravvivato da un lungo assolo di chitarra e da un finale travolgente culminante in un'inattesa citazione: "it can't happen here!".
L'ultima facciata è forse quella più densa di spunti musicali. Interamente occupata da « The Purple Lagoon », vera e propria "piece de resistance" per tutto il gruppo, essa è una stordente passerella di umori e di aberranti improvvisazioni all'insegna di un "free-form" mai così eccellente.
... "does this kind of music look interesting to you?" ...
Guido Harari