Frank Zappa
By Paolo Bertrando
L'ultimo Buscadero, November 1984
ANCORA SU ZAPPA
Cronaca di una rentré
Frank Zappa ricorda, per certi versi, i personaggi dei cartoon o delle serie poliziesche: è inalterabile, fisicamente e intellettualmente sempre uguale a sè stesso. Quasi venti anni sono passati dall'esordio fulminante di Freak Out, e Zappa offre ai seguaci un identico viso scavato e beffardo, guarnito di pizzetto e sguardo freddamento ironico; mentre la sua musica resta sarcastica e funambolica, di matrice saldissima ad onta di molteplici metamorfosi. È necessario l'occhio clinico del fan per intravedere qualche ruga o qualche filo grigio sui baffi ferrigni, e un orecchio esperto per valutare le nuove sonorità chitarristiche o il mutamento di scale e accordi nei suoi brani. Certo, lo Zappa d'oggi pare prediligere i momenti musicali più seri (qualche volta anche seriosi), e apprezzare più la compagnia di Pierre Boulez che quella di Captain Beefheart. Ma, proprio nel momento in cui pareva che l'antico Zappa bluesofilo e irriverente fosse da considerarsi archiviato a memoria futura, ecco uno dei più caratteristici cambi di rotta dell'artista: nuovo album di puro rock, e relativa tournée concertistica, con tappe anche nella poco amata Italietta.
Il disco, prima di tutto. Them Or Us è opera composita, spesso anche discontinua, in cui risalta come d'uso l'estro zappiano, con puntate strumentali ricche ed elaborate (si veda la bella Sinister Footwear II) associate a falsi «lenti» rhythm and blues, blues autentici e piccoli divertimenti con titoli che suonano più o meno «Baby togliti la dentiera». Lo zappismo in tutto il suo splendore, si può dire, vulcanico come da copione, dato che il disco è ancora una volta doppio, straripante e intelligente, tanto da farsi perdonare ricorrenti eccessi di narcisismo.
Ma da questa, come da tutte le prove dello Zappa recente, nascono domande ovvie quanto moleste. Prima d'ogni altra: che cosa rimane, a questo punto, delle grandi trasgressioni degli anni '60 o della ricchezza strumentale dei '70? È sufficiente quello che pare semplice professionismo, anche se portato all'estremo della meticolosità, a legittimare i superlativi di cui tanto spesso è circondata la carismatica figura dell'ineffabile Frank? La risposta – se risposta ci può essere – non è semplice né immediata. A proposito della musica: Frank Zappa, in ogni sua manifestazione, è una vivente contraddizione del luogo comune del rock – o, per questo, della musica di massa d'ogni genere. Mentre il rock insiste a far leva sui sentimenti, buoni o cattivi, angelici o satanici, Zappa si offre come esempio di musica assolutamente, inesorabilmente cerebrale. È sufficiente, come controprova, ascoltare attentamente qualcuno dei suoi assoli: buon esempio odierno potrebbe essere il solo su Truck Driver Divorce, in quest'ultimo album: da un tema di partenza che è poco più d'uno scherzo, Zappa sviluppa un terrificante intrico di note chitarristiche, quasi atonale nel suo pescare feedback e dissonanze.
Eppure ogni nota, e ogni rumore, appaiono controllate con precisione a calma glaciali, non c'è appello alcuno al feeling dell'ascoltatore; in Zappa ogni costruzione che sembra appartenere al codice del sentimento si rivela, presto o tardi, semplice pretesto ironico. Si vedano, in questo senso, i suoi blues, che a un primo esame possono anche parere brani d'uno struggimento quasi melenso, per rivelare a un esame più attento tutta una serie di tratti sardonici e caricaturali. Da un tale punto di vista, non c'è differenza tra Go Cry On Somebody' Else's Shoulder e Sharleena, nonostante i due brani siano separati da ben diciott'anni e almeno trenta album. Zappa è artista cartesiano, sia come compositore sia in qualità di strumentista. E già questo basta a nobilitare le sue creature. Anche nei loro eccessi, perché Frank Zappa è musicista eccessivo, ipertrofico, amante incorreggibile del kolossal, meglio se in qualche modo mostruoso e orrorifico. Di questa ipertrofia risente parzialmente Them Or Us, specie nelle superfici di contatto tra settori canzonettistici e settori trasgressivi. Senza continuità logica, le canzoncine si disgregano e lasciano allo scoperto alluvioni di note, spesso estenuanti per l'orecchio poco esercitato: l'accordo ritmico elementare di Stevie's Spanking scompare, il ritmo cambia e siamo lasciati di fronte alle acrobazie chitarristiche di Steve Vai e Dweezil Zappa.
Eppure è proprio in virtù di quest'ostinazione, di questa voglia di non sottomettersi alle regole del buon prodotto, che Zappa resta a tutt'oggi uno dei rockmen (la definizione è usata senza ironia, nella speranza di non essere troppo restrittivi) da meditare. Colossale, contraddittorio, tessuto di kitsch ma inesorabilmente antikitsch, americano ben cosciente di limiti e tratti indesiderabili dell'American Dream, Frank Zappa è artista di dimensioni e proporzioni straripanti. Nessun suo disco riesce a contenerlo tutto. Forse è l'unico esempio di musicista rock che renda necessario, per comprenderlo in profondità, l'ascolto della sua opera completa: solo la totalità è in grado di rendergli giustizia. Anche Them Or Us, com'è logico, contiene frammenti del grande mosaico, tra i quali sono certo da annoverare i citati Sinister Footwear II e Truck Driver Divorce, assieme forse alla pura prova solistica di Them Or Us.
Fin qui il lato più strettamente sonoro di questo ultimissimo Zappa. Ma c'è anche un lato scenografico che non è da trascurare, per quanto sia forse stato sopravvalutato all'epoca eroica delle Mothers of Invention. Lo spettacolo oggi offerto da Zappa è un raro esempio di controllo perfetto di musica e musicisti, oltre che dell'aspetto più propriamente scenico delle performances. Il concerto milanese della band zappiana, comprendente tra gli altri i fedeli Ray White e Ike Willis e il proteiforme batterista Chad Wackerman, è stato in questo senso esemplare. Lo show gira come un orologio di marca, con il sapiente Frank a dare il la all'orchestra (che orchestra è, anche se di soli sei elementi). Non ci sono gli assoli chilometrici temuti dai più tiepidi sostenitori, ma un ricco, complesso tessuto vocale sopra basi strumentali leggermente più scarne dell'usato. Canzone dopo canzone, senza uno stacco, il gruppo segue puntualissimo il leader e i suoi ordini, si tratti di ripescare brani da un repertorio sterminato o di portare in scena novità assolute, inedite su disco.
Accanto ai pezzo del nuovo album, irrinunciabili per esigenza di promozione (ma molti di essi erano stati addirittura anticipati al concerto di Redecesio, due anni fa), ci vengono proposti More Trouble Every Day ('66), Cosmik Debris ('74), Zoot Allures ('78), Bamboozled ('81), senza pause, senza cali, senza un'imprecisione. Zappa è più che vitale, insomma. E allora, tanto per far chiarezza e abbozzare una conclusione: il favoleggiato Zappa eversore, anarchico e contestatore, appartiene in tutto e per tutto alla mitologia. Frank Zappa è nient'altro che un musicista, il cui scetticismo riguardo lo scalare il cielo o cambiare il mondo risulta ben netto da un qualsiasi suo spezzone, compresi quelli della prima stagione.
Il merito ultimo di Zappa è d'aver creato un castello musicale in cui è l'intelletto a dettar legge, e d'averlo fatto con grandissima sapienza formale, all'interno d'un mondo difficile da intaccare nella sua compattezza, quello del rock. E va a suo merito, dopo tutto, anche l'aver giocato a carte scoperte il proprio ruolo, anche l'essersi compromesso a tutte lettere (perché Zappa è una rock star vera, e i suoi idiosincrasici album vede di venderli a prezzi più che rispettabili). Zappa, artista metalinguistico, alla cui opera è essenziale la riscrittura del rock che lo ha preceduto e lo circonda, evidenzia ed esaspera grandezza e miseria di tutto un modo d'essere musicista, a cavallo tra consumo e «arte». Ma lo fa, ed è questo che conta, dall'interno: Frank Zappa è, e resta a tutt'oggi, la cattiva coscienza della musica rock.