Frank Zappa "Jazz From Hell"
By Massimo Bassoli
FRANK ZAPPA
«Jazz From Hell»
EMI
Negli ultimi tempi Zappa ha avuto due idee. Una buona, quando ha dichiarato pubblicamente, nei giorni della bufera dell'Irangate, che «la soluzione ideale e più logica per rimpiazzare Poindexter e North alla Casa Bianca è costituita da Sean Penn e Madonna».
L'altra è stata una pessima intuizione: dare alle stampe il materiale di questo disco. Certo, siamo alle solite. La questione «prima di parlar male di Zappa bisogna tirar di schioppo sui tanti zerbinotti che affollano la scena» è tuttora aperta. Duole dover regolarmente mettere in discussione un genio, quando questi è più prolifico di un coniglio, e troppo spesso ci ha sommersi soprattutto di immondizie musicali. Ma non è forse la genialità la capacità di essere ferocemente critici con il proprio estro creativo, che cerca di sfuggire al controllo dell'artista, di giocargli continuamente il brutto scherzo di mettere in mostra la di lui presunzione? Che diremmo di Woody Allen se costui non avesse frenato l'istinto di sviluppare ogni metro di pellicola girata? Chi avrebbe creduto, per ipotesi, ad un Einstein teso a calcolare matematicamente la lunghezza della barba del Padreterno?
Zappa sbaglia, se pensa che dal suo cilindro esca sempre qualcosa di appetibile; magari sa perfettamente che questa è trash music, e allora pecca di malafede nei confronti dei suoi seguaci. In ogni caso finirà all'inferno, e questo Jazz From Hell sarà la colonna sonora dei suoi supplizi, sempre che Belzebù lo consenta. È infatti spaventoso pensare che quei poveri dannati capitati nello stesso cerchio dello stravagante compositore debbano subire la punizione supplementare di sette partiture zappiane eseguite al synclavier (più una "St. Etienne", dove l'arrangiamento non è computerizzato bensì eseguito da strumentisti in carne ed ossa), ripetute per l'eternità. Tale infatti è stata l'idea scaturita dal cranio di Francesco Vincenzo: un album di suoni sintetici, schizoidi nella loro vaghezza atonale. In parole povere, una tortura. Evviva i sordi, che la musica la sogfano a proprio piacimento.
Stefano Mannucci 3/10