Frank Zappa. L'improvedibilità dello strumento
By Paolo Battigelli
Il suo nome, così come la sua sterminata produzione, appartengono alla leggenda, ma ciò non perchè abbia compiuto gesta particolarmente memorabili, legate a questo o a quel disco, quanto perchè il suo modo atipico di concepire, comporre ed eseguire la musica è entrato rapidamente a far parte del patrimonio culturale di quanti amano quest'arte.
L'esperienza di Zappa si presta a mille letture, obiettive o faziose, che possono spesso travisare quelle che sono le vere intenzioni dell'autore; ma è altrettanto vero che il pregio maggiore dell'artista sta proprio nell'aver scritto e rappresentato tutto un mondo del quale, prima di lui, si conosceva ben poco o addirittura nulla.
Ogni opera di Frank Zappa è infatti uno zibaldone di memorie, riflessioni, appunti, notizie ed abbozzi che il suo genio amalgama formando un tutt'uno di rara potenza ed efficacia. Ma al di là dei metodi rivoluzionari di orchestrazione, scrittura ed esecuzione, ed oltre all'efficace costruzione sonora basata sul "cut up" di origine letteraria, va ascritto a Zappa il grande merito di aver dato alla chitarra nuovi campi di espansione, allargando i confini di un rock di maniera e di un jazz edulcorato sino a spaziare in territori ritenuti off limits come le pantonalità di Schoenberg e la musica moderna di Edgar Varèse. Tutto ciò senza, naturalmente, accantonare la cultura pop-rock e una vena di ironica follia che da sempre marchia i suoi lavori.
Il rapporto di Zappa con la chitarra ha attraversato negli ultimi tempi profonde crisi seguite da memorabili riappacificazioni al punto che "il 24 dicembre del 1984", come ricorda lo stèsso musicista nel corso dell'intervista concessa a Guitar Club che riportiamo più avanti, "l'ho appesa al classico chiodo per riprenderla solo all'inizio di questa tournée. La ragione? Semplice, mi sentivo ridicolo con una bacchetta in mano a dirigere un'orchestra".
L'abbandono era strato determinato da una sorta di crisi acuta, di rigetto nei confronti dello strumento dovuto al fatto che, a suo vedere, ormai il meglio era già stato composto e suonato nel corso dei primi quindici anni di carriera. Tanto è vero che della sapiente miscelazione di ore ed ore di registrazioni, con l'aiuto del Synclavier e vari campionatori, Zappa è riuscito ad ottenere risultati inediti quanto meno strabilianti. In quell'antro delle meraviglie che è la sua abitazione-studio, ogni centri metro di spazio è infatti occupato da bobine, nastri e video recanti ognuno precise indicazioni sulla fonte, minutaggio e descrizione del contenuto.
Già: il maestro registra tutto ciò che fa, dalle prove di studio ai soundcheck ai concerti: dagli anni Sessanta ad oggi. L'unica differenza è che attualmente la consolle e i vari procedimenti sono digitali: 48 canali in tour che aumentano a 64 in studio.
Detto che alla corte di Zappa si sono formati nomi come Steve Vai, Adrian Belew, Ian Underwood, Captain Beefheart, e sottolineato il fatto che la quasi totalità del gotha chitarristico lo ammira per la fantasia incredibile dei suoi solo unita ad una precisione certosina nella costruzione sonora degli stessi, resta da aggiungere come la carriera strumentistica abbia attraversato tre periodi distinti: un po'quello che capita a pittori o scultori famosi.
Il primo, dall'incipit di Freak Out (1966) all'alba deglia anni Settanta quando le Mothers Of Invention originali si siolgono, è segnato ad un uso più corale, maggiormente subordinato alle esigenze della band che non rivolto all'immagine solistica del leader.
Album come We're Only In It For The Money e Absolutely Free rispecchiano le "matrici" come mai più in futuro mentre gli squarci della sua Fender Strato assumono il ruolo di impreziosimenti e di carnei in un contesto orchestrale. Atteggiamento che già in Uncle Meat, in origine colonna sonora dell'omonimo lungometraggio sul gruppo che non vedrà la luce sino all'anno scorso (fu inciso nel 1969), subisce qualche sterzata verso la corsia singola.
Gli anni Settanta risplendono dunque di opere dove lo Zappa chitarrista si erge in tutta la sua mostruosa abilità e innato talento; come in Overnite Sensation e Apostrophe o, ancora, sui solchi di Waka/Jawaka e The Grand Wazoo: tutti e non a caso, eccetto Overnite Sensation, firmati dal solo Frank. In Roxy And Elesewhere (1974) svettano il solo di wah wah in «Penguin In Bondage», il remake bluesy di «Trouble Every Day» e il tremolo, affiancato da un duro feedback, in «Son Of Orange County Lumber Truck». Su One Size Fits All (1975) affascinano «Inca Roads», che ricorda alcune sezioni del mitico «Willie The Pimp» di Hot Rats (1969), e «San Bernardino», un gran blues con un solo di chitarra fretless micidiale, mentre su Bongo Fury (1975) imperversano «Carolina Hard Core Ecstasy» e «Advance Romance» in cui Zappa divide la gloria con l'altra lead guitar di Dennis Walley. Zoot Allures (1976)passerebbe in secondo piano se non contenesse l'epica «The Torture Never Stops» e la furiosa «Black Napkins» mentre Sheik Yerbouty (1979) si guadagna il suo posto nella storia grazie alla jam «Rubber Shirt», con Adrian Belewe il bassista Patrick O'Hearn che fa il verso a Jaco Pastorius, e gli accenti blues di «Sheik Yerbouty Tango».
A questo punto, dopo un paio d'anni di relativo silenzio, entriamo negli Ottanta e nell'ultimo periodo, quello che definirei di "manipolazione creativa". Ne è esempio lampante Jazz From Hell (1986) quasi totalmente nato al Synclavier e, in parte, conferma F. Zappa Meets The Mothers Of Prevention (1985) mentre, parlando sempre di manipolazione sonora ma questa volta esclusivamente chitarristica, sono da ricordare The Man From Utopia (1983) con uno Steve Vai in ottima forma e You Can't Do That On Stage Anymore (1988) il primo di sei CD doppi in uscita entro la fine dell'anno (purtroppo solo in tale formato) e contenenti oltre tredici ore di musica live registrata dal 1969 ai giorni nostri.
Un capitolo a parte, di fondamentale importanza per approfondire l'argomento Zappa chitarrista, meritano Them Or Us (1984), la triade di Shut Up And Play Your Guitar (1981) e il recente Guitar (1988). Il primo, include, solo di Steve Vai, «Yah Hozna», e alcuni tra i migliori di Zappa senior come «Sinister Footwear» e «Truck Diver Divorce». Qui Zappa usa una Fender Stratocaster customizzata, una Gibson SG e una Fender denominata Hendrix in quanto posseduta dal grande Jimi.
Ancor più specifica e vera miniera per gli appassionati si presenta la trilogia Shut Up And Play Your Guitar (1981), una lunga raccolta di soli estratti da brani databili entro il periodo 1979-80 (eccetto uno del 1977). Venti "pezzi di bravura" che spaziano dal ruvido e potente «Five Five Five» al quasi metal «Hog Heaven», dallo pseudo reggae di «Treacherous Cretins» al funky di «Heavy Duty Judy». Ma il vero gioiello rimane «Canard Du Jour», oltre dieci minuti di trip musicale con Zappa al bouzouky e Jean Luc Ponty al violino: un'accoppiata che ci riporta ai tempi eroici di «King Kong». Le note che accompagnano l'opera, firmate da John Swenson uno dei più accreditati conoscitori del mondo musicale, terminano con le parole: «l'album, però, è solo la punta dell'iceberg». Ed è la verità.
Dopo il divorzio a cui abbiamo accennato in apertura Zappa torna infatti alla carica con il doppio Guitar, una sorta di proseguimento di Shut Up e comprende soli di chitarra databili dal 1979 al 1984. Il parco strumenti è rimasto pressocchè identico, Fender, Gibson (SG e Les Paul) e, naturalemnte, la famosa Hendrix Strat, mentre i suoni posteriori, cronologicamente a Shut Up presentano uno Zappa contaminato dal classico «In-A-Gadda-Stravinsky» (una via di mezzo tra il brano degli Iron Butterfly e il compositore russo), dagli anni Cinquanta «For Duane» (dove Duane è Duane Eddy) e dal miglior blues; oltre che dal rock, dal jazz e, perchè no, da ingerenze vagamente metal.
Forse Guitar è lo specchio più fedele e prezioso dell'enorme mole di lavoro, e con essa delle molteplici innovazioni, che Zappa ha compiuto sullo strumento (ogni sua chitarra viene customizzata personalmente). Un vademecum sonoro unico per chi abbia voglia di accedere alla tecnica e, al contempo, non restringere i propri interessi ad un solo genere. L'eclettismo, la polivalenza è sempre stata l'arma segreta del musicista, insieme al dono naturale di saper sintetizzare il meglio senza cadere nel ripetitivo e nel banale.
E vediamo adesso cosa ci ha detto, al proposito, lo stesso Frank nel corso di quella chiacchierata a cui accennavamo prima.
GUITAR CLUB: Innanzi tutto come ti trovi in Italia dopo qualche anno di assenza? La band mi sembra ampliata rispetto ad allora.
FRANK ZAPPA: Ho un buon ricordo del concerto (tenutosi a Redecesio, Milano) ma pessimo della zona. Tra il caldo umido e le zanzare mi sembrava d'impazzire (frase immortalata sulla copertina di The Man From Utopia dove Zappa è disegnato mentre tenta di scacciare le miriadi di insetti che lo prendono d'assalto). Oggi è tutto diverso e suonare qui, al chiuso, non mi dispiace anche se l'acustica non mi sembra delle migliori. La mia band attuale è formata da una dozzina di elementi, tra cui vorrei citare Ike Willis ( chitarra e voce), Scott Thunes (basso), Chad Wackermann (batteria) e Bobby Martin (tastiere). Riguardo alla scaletta, come sempre mi capita, non ho idee precise; pensa che ho pronti all'uso più di cento brani tra cui scelgo, sera per sera, quelli che suonerò. Eseguo anche delle cover, o qualcosa del genere, di canzoni come la zeppeliniana «Stairway To Heaven» e alcune cose degli Allman Brothers più riletture classiche (è il caso di Bolero di Ravel che occuperà un intero bis).
G.C.: Certo, un concerto di Frank Zappa non s'improvvisa su due piedi.
F.Z.: No davvero. Ho lavorato sodo, insieme al gruppo. Ben quattro mesi di prove: tanti quanti il tour. C'è però da dire che i ragazzi non mi hanno creato problemi, sono ottimi. Sul serio.
G.C.: Che tipo di amplificazione usi e quali effetti?.
F.Z.: Tre tipi di Marshall e due Carvin da 100 Watt, i primi per i suoni sporchi e i secondi per quelli puliti. Uso poi un Roland GPS per i puliti e assolutamente nulla per tutti gli altri, la chitarra è connessa ditrettamente all'amplificatore. Per ciò che riguarda gli strumenti, le Fender customizzate sono sempre due: quella bionda per i suoni puliti e la marrone per quelli sporchi. Eseguo alcuni soli, di tanto in tanto, così come dirigo l'orchestra (con tanto di bacchetta) e canto sperando di non incorrere in stecche.
G.C.: In che rapporto sei con la tua produzione passata? Durante i concerti non vai mai a ripescare troppo indietro nel tempo!!
F.Z.: Non amo eccessivamente le prime cose che ho fatto e preferisco attenermi ad una realtà più vicina. Comunque, i brani esistono e ne ribadisco la paternità al di là di ogni considerazione.
G.C.: Jazz From Hell era un album praticamente costruito con il Synclavier. Oggi, invece, con Guitar e la serie You Can't Do That On Stage Anymore, sei tornato a suoni non manipolati ma, come specifichi nelle note di copertina, assolutamente privi di overdubbings e sintetizzatori.
F.Z.: Quello è il passato prossimo e il presente, per il futuro ho progetti vari. Un album in studio servendomi ancora del Synclavier e un altro collaborando invece con una band tradizionale che, però, non sarà composta dai miei compagni attuali. Registro tutto ciò che faccio, a cosa servirebbe portarli con me in studio?
G.C.: Come mai un'idea così titanica come i sei doppi CD di You Can't ... ?.
F.Z.: Ho passato molto tempo a riascoltare quintali di vecchi nastri relativi a concerti datati anche 1968-69 via via sino agli ultimi, e mi sono accorto che dell'ottimo materiale, interessante sotto tutti i punti di vista, era rimasto inedito. Ho deciso allora di pubblicarlo, riempiendo così molte lacune nella storia di Frank Zappa. Ho optato per il solo formato CD in quanto trovo più giusto approfittare della tecnologia, e dei traguardi che ha raggiunto, per godere appieno della musica.
G.C.: Un altro capitolo fondamentale l'hai firmato con Guitar.
F.Z.: In pratica, si tratta della logica prosecuzione del discorso aperto con la trilogia Shut Up And Play Your Guitar. Anche qui ho estratto una serie di assoli da alcuni show: i più rappresentativi, i più riusciti. Cercando di dare un'immagine globale del mio modo di concepire la musica e di suonare la chitarra.
G.C.: In tutto questo traspare una voglia di agire in prima persona, Oggi più che mai, conta Frank Zappa.
F.Z.: La vuoi sapere una cosa? Eccetto alcuni casi sporadici, nessuno dei miei musicisti sa leggere un rigo musicale: agiscono secondo istruzioni, suonano a comando rispettando le regole. Voglio dire, il lavoro di base è mio anche se, ne converrai, dalla scuderia sono usciti nomi di grande valore.
G.C.: Vedi ancora Steve Vai o Adrian Belew?
F.Z.: Ogni tanto, siamo amici sebbene ognuno di noi abbia intrapreso altre strade. Sono degli ottimi musicisti, anche se a volte non condivido alcune loro scelte.
G.C.: Non è che sotto sotto hai pubblicato Guitar per ricordare ai giovani come andrebbe suonato lo strumento? Qualcosa del tipo "la chitarra secondo Frank Zappa"?.
F.Z.: Mi sono sempre rifiutato di usare effetti vari, apparecchiature sofisticate, guitar synth e anche il solo Midi perchè non credo che il "suonare bene" una Fender o una Gibson necessiti degli ultimi ritrovati della scienza applicata alla musica. È questione di mente, di polso e di cuore. Invece, purtroppo, sembra che oggi i ragazzi desiderino solo assomigliare al grande di turno, ad esempio Van Halen o Malmsteen, perseguendo l'unico scopo di superarli in destrezza, in velocità di esecuzione. Per quattro anni mi sono rifiutato d'imbracciare una Fender perchè ero convinto di aver dato il meglio di me, ma mi sbagliavo. Così sono ritornato sui miei passi e mi sono imbarcato in un'altra tournée. Eccoli qui i calli ai polpastrelli: erano spariti.
G.C.: Dweezil non sarebbe molto d'accordo con te.
F.Z.: Non ho nulla contro Eddie, il fatto è che lui rappresenta la meta da raggiungere, il maestro da imitare, capisci, non si pensa più a creare ex novo, ad allargare i propri orizzonti.
G.C.: Si bada più all'involucro che al contenuto, al look più che al prodotto musicale.
F.Z.: Vuoi guadagnarti un contratto, desideri fare colpo sul pubblico e apparire sulle copertine dei giornali? Basta che ti dai una ripulita, ti compri un bel vestito e vai dal parrucchiere. La musica non è importante.
G.C.: A parte chi ti influenzò agli inizi come ad esempio Johnny Guitar Watson, ci sarà qualcuno che non ti dispiace, attualmente?.
F.Z.: Nutro molto rispetto per Allan Holdsworth e, in misura leggermente minore, per Billy Gibbons. Il suo stile è originale e tecnicamente buono.
G.C.: So che sei anche un estimatore di Hendrix.
F.Z.: È stato grande, grandissimo. La prima volta che lo vidi, mi pare a New York, sfasciò la chitarra contro il soffitto del locale lasciandola appesa in pezzi. Si girò senza dire una parola e se ne andò.