Dio Fa
Un progetto perduto
By Michele Coralli
Blow Up, December 2010
“Che lavoro fai papà?”. Se uno dei miei gli dovesse pormi questa domanda, sicuramente gli risponderei: “Quello che veramente faccio è comporre”. Mi servo di quel materiale chiamato note per le mie composizioni. La composizione è un processo organizzativo, come l'architettura. Se concettualizzate bene il processo organizzativo, potrete essere compositori IN OGNI CAMPO CREATIVO: compositore video, compositore coreografico, compositore di ingegneria sociale, qualsiasi cosa. Datemi qualcosa, qualsiasi cosa, e ve la organizzerà: questo è ciò che faccio per lavoro.
(da “L'autobiografia” di Frank Zappa)
“Si Milano”. La città dell'Amaro Ramazzotti. L'amaro di chi vive e lavora. Lamaro della vita, di una giornata che non è mai finita. Si, l'amaro Ramazzotti, l’amaro di questa Milano da vivere, da sognare, da godere, di questa Milano... da bere.
(spot pubblicitario del 1987)
Quali sono gli spettacoli più costosi della storia? Certamente quelli delle cerimonie inaugurali. siano esse di Olimpiadi, insediamenti di presidenti statunitensi o Mondiali di calcio. Si tratta in ogni caso di spese che ruotano attorno alle decine di milioni di euro, di dollari o di miliardi di lire. Tutti spesi per una cerimonia che si consuma nel corso di una diretta televisiva planetaria. Poffete, il tempo di una partita di calcio e tutto sparisce per sempre.
Seconda domanda: ve ne ricordate per caso qualcuna di queste cerimonie? Voglio dire, di questa roba, vi è rimasto qualche ricordo scolpito nella memoria, qualche emozione? Rispondeteci sulle pagine di questo magazine e saremo lieti di leggervi. La nostra ipotesi è che invece rimangano impresse nella coscienza collettiva mondiale cose più semplici ed economiche come un vecchio disco, piuttosto che certi eventi mediatici massificati su cui si investono fior di denari. Ma cosa c’entra questo con Frank Zappa? C'entra, perché forse non tutti sanno che a un certo punto della sua vita il vecchio Frank, che, se fosse ancora tra noi, il 21 di questo mese avrebbe compiuto settant'anni, si era messo in testa di utilizzare questo tipo di meccanismo organizzativo per veicolare un suo progetto musicale che, neanche a dirlo, era costruito su una feroce e irriverente presa per i fondelli del meccanismo stesso e dei milioni di persone plagiate dal sistema dei media.
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra: il dio del calcio.
Ma andiamo per ordine.
Gli anni ‘80 di Zappa in Italia erano iniziati con un’importate tournée nel 1982, culminata con lo storico concerto al Parco Redecesio di Milano, location di cui ancora oggi si può continuare a testimoniarne l’assoluta inadeguatezza – anche per esperienza direttamente vissuta sul campo. Dire che il luogo fosse più degno di una discarica che di un concerto rock crea forse nei moltissimi spettatori di allora l'orgoglio di esserci stati, ma anche la tristezza per la scarsa attenzione da parte degli organizzatori nei confronti di artista e pubblico. Nell’84 Milano ha modo di rifarsi un’immagine agli occhi di Zappa, offrendo per il nuovo tour il Palazzetto dello Sport di San Siro, poco prima del suo crollo definitivo sotto la storica nevicata dell’anno successivo. Nell’88, infine, per l’ultimo tour in assoluto di Zappa, arriva il Palatrussardi, una struttura posticcia nata in compensazione della perdita della precedente arena e usata per decenni dalle amministrazioni come ripostiglio culturale in mancanza di spazi adeguati perla musica. Probabilmente visti i piccoli, ma significativi progressi, che a Milano hanno reso di poco migliori i luoghi (anche) per Zappa – dalla palude della periferia al “moderno” quartiere periferico – il Nostro inizia a pensare che, forse, i tempi sono propizi per il grande salto e si mette a buttar giù qualche idea in previsione dell’arrivo dei Mondiali di calcio del 1990, organizzati appunto in Italia.
Sull’aspetto di Zappa compositore anche “colto” si pensa non essere utile soffermarsi troppo: basterà qui ricordare per molto tempo ha tentato l’aggancio al mondo classico, quello della cosiddetta cultura ufficiale, accademica o come altro 1a si vuol definire, fin dall’inizio della sua esistenza, con risultati abbastanza altalenanti. Al di là della consacrazione finale culminata con “The Yellow Shark” e l’Ensemb1e Modern, ancor più che con Pierre Boulez e l’Ensemble Intercontemporain, la sua carriera è costellata da una ricerca continua di occasioni per l’esecuzione delle sue musiche non assimilabili all’ambito del rock. Zappa, attraverso il pretesto dei Mondiali, cerca una strada per arrivare al luogo sacro, al tempio della musica, che, non a caso, è proprio a Milano e si chiama Teatro alla Scala. Forse senza nemmeno essere troppo convinto del buon esito, si mette a scrivere un soggetto che parte da questa semplice considerazione: Millions of people believe football is God, but, it is said (at least in Torino), ‘God is a liar’. – Dio Fa.
“Dio Fa” è quindi il titolo dell'opera che Zappa vuol produrre per il Teatro alla Scala in occasione dei Mondiali di calcio del 1990, finanziata nei suoi auspici – come dice lui stesso nell’autobiografia – dalla citta di Milano e dalla Lega Calcio italiana (!). Zappa nel suo libro dedica quattro paginette alla questione, riportando diversi dettagli che riguardano soprattutto l’organizzazione. Meno chiara è invece la trama attraverso cui si sarebbe dovuta sviluppare la vicenda dell’opera e i suoi contenuti musicali. Ci sono parti orchestrali, cameristiche, inserti di. musica etnica rappresentata dai cori polifonici sardi molto apprezzati da Zappa, poi musica elettronica campionata e rock. Per lo più però si tratta di organici acustici di tipo accademico: si prevede il coinvolgimento dell’Orchestra Sinfonica di Chicago, di alcuni solisti della Filarmonica e del Coro della Scala. Non vengono indicati direttore, regista e cantanti principali – i cui costi, si scrive, sono da accol1are a1 Comune di Milano. Aggiunge Zappa che “Lo spettacolo prevede parti di danza in diversi stili, effetti speciali e una sfilata di moda” e che la prima dell'opera dovrà essere trasmessa in mondovisione dal teatro. L’immagine scenica da cui si vuol partire è quella della mascotte simbolo dei Mondiali. Anche Zappa era infatti a conoscenza delle fattezze dell’orrido Ciao, fantoccio cubista dal volto di pallone, che in quel periodo ha fatto bella mostra di sé in ogni angolo del globo. Cosi viene appunto riportato: “Questa marionetta è afllitta da un’incontrollabile sindrome di Crescita nasale, quella di cui fit pioniere Pinocchio (e che Reagan ha perfezionato). Ogni volta che il DIO CALCIO dice una bugia, dal pallone che gli fa da testa nel disegno cresce un orribile naso molle...” Alcuni monaci – che poi si scopre essere la squadra azzurra – cercano in tutti i modi di sostenere questo naso che continua a crescere.
Questo l’abbozzo della sceneggiatura dell’opera. Come poi il racconto si sviluppi e come si integrino tutte le parti musicali rimarrà con ogni probabilità ignoto per sempre. Rimane però da raccontare come fu accolta la proposta di Zappa che, su indicazione di un fan, Fabio Treves – che è anche musicista, nonché consigliere comunale a Milano alla fine degli anni ‘80 – presenta la sua idea al sindaco dell’epoca, Paolo Pillitteri e all’assessore alla cultura Luigi Corbani (tutti ricordati da Zappa nell’autobiografia). La scena si svolge a Palazzo Marino, sede del Comune, nel 1988.
FABIO TREVES (musicista ed ex-consigliere comunale di Milano)
Avevo visto Zippa la prima volta a Londra nel 1968. Ero sempre stato affascinato da quel tipo di musica che non era blues, non era rock, né funky, ma un po’ di tutto. Ero anche affascinato per il fatto che somaticamente il giovane Treves ricordava molto il Frank Vincent Zappa delle Scuole Medie Superiori. Inoltre ero affascinato anche dal fatto che anche lui era un sagittario come me e che come me era uno che andava molto controcorrente. Affascinato infine dal suo coraggio per aver intentato una causa di lunga durata contro una delle più grosse multinazionali del disco di sempre. Questa profonda ammirazione culmina nel 1988, quando Claudio Trotta di Barley Arts, che era ed è uno dei più grandi promoter italiani, che aveva appena prodotto un mio disco, mi chiama per chiedermi di accompagnarlo a Monaco di Baviera per parlare con il tour manager di Zappa. Arrivati a Monaco incontriamo anche lui. Li abbiamo potuto constatare il suo rigore: la sua precisione aveva dell’incredibile, specie durante le prove, che duravano più dei concerti. Quando poi è arrivato in Italia per le date prefissate io mi sono auto-aggregato allo stafl di quel tour. Trotta mi aveva presentato come uno che faceva musica blues e che aveva suonato con molti artisti famosi. Da lì, in compagnia anche di Massimo Bassoli, ho iniziato a tampinarlo, ascoltando spesso a bocca aperta tutti i discorsi che faceva. Anche se, a causa del suo modo di parlare molto slang, molte cose mele sono perse.
All'epoca avevi un ruolo politico nel Comune di Milano. Quale esattamente?
Ero consigliere con delega ai progetti giovanili. Non sono mai stato assessore e aggiungo purtroppo. Dato che gli assessorati hanno un budget, mentre il consigliere delegato è senza portafoglio. Così non potevo gestire o inventarmi niente, se non cose estemporanee a costo zero. Però per via della mia passione per la musica di Zappa e soprattutto per il mio ruolo istituzionale mi sono detto perché no? Zappa, che era un genio sotto tutti i punti di vista, aveva benissimo presente la situazione politica italiana e sapeva riconoscere le diverse identità politiche, non era aflatto uno sprovveduto. Allora mi ha chiesto se secondo me era possibile andare a proporre l’idea folle di quella sua opera rock alla Scala. Gli dissi: “guarda la Scala, carissimo Frank, non l'hanno data mai a nessuno che non fosse un artista classico, però proviamo”. Così abbiamo preso un appuntamento con l 'allora sindaco di Milano, Paolo Pillitteri, dopo aver informato l’assessore alla cultura Luigi Corbani.
Loro conoscevano già il personaggio?
Sì di nome, ma sai, così ... da politici. Quando ci siamo seduti nell’ufficio del sindaco, Zappa illustrò tutta la sua idea che si collegava ai mondiali di calcio, cosa di cui si parlava già da tempo. Zappa disse che aveva i contatti con moltissimi canali televisivi americani. Ancora non si parlava di canali satellitari da noi, ma in America la TV via cavo esisteva già. Quello che proponeva era una “prima” in occasione dell’inaugurazione dei Mondiali, con una musica però diversa da quella che avrebbe presentato alla Scala, dove invece avrebbe voluto allestire l’opera “Dio fa”. Non ci volle molto per capire che questo signore o era un marziano o uno sbruffone. A posteriori tutti si resero conto che quello che lui proponeva sarebbe stato un salto di qualità per la città di Milano, che sarebbe passata da unidea della cultura molto provinciale a qualcosa di molto più allargato.
Quindi quell'incontro a cosa porta?
A niente. Gli hanno detto semplicemente che non erano interessati alla cosa.
Non ci sono stati altri incontri?
No. C'è stato un solo incontro a Palazzo Marino, nell'ufficio del sindaco di Milano, presenti l'assessore alla cultura e uno o due funzionari. Alla fine per educazione dissero: “le faremo sapere”. A me, a livello informale, essendo uno dell’amministrazione comunale, dissero in modo nudo e crudo che una cosa del genere non l 'avremmo mai fatta. E non diedero neanche dei margini di possibilità.
Con quali motivazioni?
Senza motivazioni. Credo che quella più logica fosse che la musica di Zappa e il personaggio Zappa non era in sintonia con la “Milano da bere” di allora, tant'è che a lui furono preferiti Edoardo Bennato e Gianna Nannini con l'inno ufficiale Notti magiche. Pensiamo invece che l’inno ufficiale dei mondiali '90 avrebbe potuto essere un brano di Zappa! Quando poi, dopo il mondiale, nel ‘91 o nel ‘92 si seppe che era stato invitato, con tutti gli onori che si debbono a un grande genio, dal presidente cecoslovacca Havel e che nel ‘93, poco tempo prima che lui morisse, a Vienna si suonò la sua musica con l’Ensemble Modern e che il tributo a Zappa fu uno dei momenti più belli per la città di Vienna, seppi che alcuni politici della stessa area della mia giunta capirono l’enorme occasione che si era persa. Esattamente come nel '65 quando a un funzionario RAI chiesero di registrare un concerto dei Beatles e lui rispose che dopo due mesi nessuno avrebbe saputo nemmeno chi fossero. Lo so per certo, perché questo aneddoto mi fu riferito da Leo Wachter che aveva portato in Italia Beatles, Rolling Stones e Frank Sinatra. Gli stessi Beatles dissero che non avrebbero avuto problemi a essere filmati e consideriamo che il Vigorelli, sede del concerto, dista poco più di 100 metri in linea d’aria dalla sede RAI di Milano. Questa incredibile cecità culturale purtroppo a Milano non è mai venuta meno. E questo lasciò perplesso Zappa, che conosceva la città come centro culturale, fulcro del made in Italy e della moda. Però lui prese la cosa molto sul ridere. La fotografia che ci scattarono proprio sull'uscio dell’ufficio del sindaco lo ritrae sorridente e sornione. L'episodio fu riconfermato nella sua autobiografia che riporta questo incontro su tre righe, anche perché più di quello era inutile dedicargli. La cosa più bella – a testimonianza di come fosse davvero un genio – è che si ricordava benissimo chi erano le persone coinvolte, definendole ciascuna: un socialista, un comunista e un anarchico. Quest'ultimo ero io e penso che quello di Zappa nelle sua autobiografia rimane uno dei più bei complimenti nei miei sessant’anni di vita.
Quindi non c’è stato nessun Consiglio Comunale.
No, assolutamente.
In quell'incontro Zappa portava con sé un progetto scritto?
Aveva un progetto, ma non sono completamente sicuro che fosse rimasto nelle mani del funzionario dell’assessorato alla cultura, dato che Zappa capì subito che non interessava. Ma è passato troppo tempo e francamente non ricordo se ha lasciato qualcosa di scritto negli uffici. Se è stato protocollato deve esistere, era un faldino che portava con sé. Del progetto non ricordo molto. So che aveva tirato in ballo le televisioni e una parte live doveva essere trasmessa in mondovisione. A sentir lui, aveva già accordi con diversi sponsor importanti. Non escludo che la cosa fosse davvero cosi. Zappa in America muoveva tanti soldi, oltre che raccogliere molto interesse.
Quello dei soldi non è stato quindi il motivo per l’accantonamento del progetto?
Mi sembra che avesse chiesto delle belle cifre, però io so che queste cifre sono le stesse che sono poi state utilizzate per fare quelle mastodontiche manifestazioni durante le giornata di apertura allo stadio Meazza. Può essere anche che questi soldi venissero da sponsor privati, ma non è che i Mondiali del ‘90 siano stati all'insegna del risparmio, anzi! Uno dei massimi livelli di spreco di denaro si è raggiunto proprio in quell'occasione.
Dopo quell'incontro non hai più visto Zappa?
L'ho sentito attraverso la famiglia. Venivo aggiornato sullo stato della sua salute. Poi quando due anni fa sono venuti a suonare a Milano i figli (“Zappa play Zappa”) sono stati ospiti nella mia trasmissione a RockFM assieme alla moglie Gail. In quell'occasione mi dissero che si ricordavano di quell’episodio a Milano, anzi la prima cosa che mi dissero è che il padre gliene aveva parlato.
Secondo te lui ci teneva a suonare alla Scala?
Ci teneva parecchio. Il rock che incontra la musica classica faceva parte di un genere degli anni ‘70, ma quando la musica moderna entra in un teatro di musica classica è sempre un evento. Un po' come è stato in quella famosa opera che era “Three Pieces for Blues Band and Symphony Qrchestra” di William Russo, un compositore americano che aveva scritto e pubblicato su Deutsche Grammophon con la San Francisco Symphony Orchestra diretta da Seiji Ozawa.
Tu hai suonato con Zappa?
Due volte, una a twilano e una a Genova sempre nel 1988. Non ci volevo credere, perché sapevo che era uno molto rigoroso e chiamava sul palco soltanto i musicisti del suo gruppo. Prima era successo solo con John Lennon e Yoko Ono, ma era rimasto scandalizzato dalle urla di lei e dalla poca professionalità di Lennon. Pensavo allora che si trattasse di un'amichevole e scherzosa presa in giro. Mentre lui capì benissimo che per me era un sogno.
Cosa avete suonato?
A Milano Pound for a Brown e a Genova Big Swifty. Dopo tanti anni mi arriva dall’America un bootleg in cui si citava un unknown harmonica player. Tramite un altro zappiano di ferro ho fatto sapere che quello ero io. Allora me l’hanno rimandato con la l aggiunta: guest appearence by Fabio Treves. Risentirmi su CD mentre duetto con Zappa è una cosa che mi fiz venire ancora la pelle d'oca. C 'erano Ike Willis e Chad Wacherman che, quando li ho rivisti qui in Italia, si ricordavano entrambi di quei concerti. Io pensavo che si ricordassero per quanto avevo suonato male, ma poi messi alle strette mi dissero che se Zappa mi aveva chiamato una seconda volta era proprio perché gli era piaciuto per come avevo suonato. Paragonandomi agli altri armonicisti che avevano collaborato con Zappa come Craig Stewart che si può sentire in “Joes Garage” o Kim Wilson, mi viene un po’ da ridere, però a volte nel blues conta non tanto come suoni, ma come ti esprimi.
Tra l'altro l’armonica non è uno strumento molto usato da Zappa.
Questo aumenta il mio motivo di orgoglio. Non fosse altro per il fatto di essere ricordato come l’unico musicista italiano che ha suonato con Frank Zappa. Con i tempi che corrono non è cosa di poco conto.
LUIGI CORBANI (ex-assessore alla cultura del Comune di Milano, oggi direttore generale delI’Orchestra Verdi)
Partiamo da quando il consigliere Treves si presenta con Zappa nell’ufficio del sindaco di Milano per sottoporre la sua proposta.
Frank Zappa era venuto da me a palazzo Marino e io gli avevo proposto di studiare insieme un progetto sull’Ansaldo, che in quel periodo il Comune stava acquisendo. Siamo andati avanti a discutere di questo progetto, che lui aveva messo giù e mi aveva già mandato, per un anno e più. Riguardava l’idea di fare dell'Ansaldo un luogo di attività culturali e di spettacolo che coinvolgesse tutte le varie forme, con sale prove e di registrazione per i giovani, con musica di tutti i generi. Nel contempo c’era l’idea di farne anche un luogo di arte contemporanea. Questo era il progetto sul quale avevamo lavorato. Mi aveva mandato le sue ipotesi e ci eravamo incontrati per discuterne.
Quindi lei aveva dato a Zappa, al di là della proposta dell'artista nata attorno ai Mondiali di calcio, la disponibilità su un progetto di valorizzazione dell’Ansaldo?
Si, io avevo insistito perché il Comune acquisisse l’area dell’Ansaldo. A quel punto avevo interpellato tutta una serie di personaggi della cultura milanese e non solo sulle possibili destinazioni dell’Ansaldo, perché volevo sentire tutte le opinioni possibili. Una di queste persone interpellate era Frank Zappa che aveva fatto un progetto organico: cioè un centro per le attività culturali contemporanee. Oggi si direbbe multimediale. In questo progetto convivevano tutte le forme di intrattenimento e di spettacolo, attraverso l'utilizzo razionale di tutti gli spazi a disposizione. L’Ansaldo è articolato in vari capannoni e ognuno di questi aveva una funzione particolare. C'era quindi la scuola di cinema, corsi per la televisione, sale prove, il grande capannone per gli spettacoli, laboratori per la pittura, la scultura, le scenografie. Si voleva anche puntare all’invenzione di spettacoli concepiti ad hoc per quello spazio, puntando molto sui giovani produttori di attività culturali.
Zappa le aveva sottoposto un progetto scritto?
Si, c'è un progetto scritto.
E' stato protocollato dall'Assessorato? Si può recuperare questa cosa?
Non credo, perché si protocollano solo le cose che ranno in delibera o in Giunta, cioè i lavori propedeutici alle delibere.
Come è andata a finire quella proposta?
Io sono venuto via, Zappa ha avuto un po'di vicissitudini e il costo di tutta questa operazione era abbastanza elevato. Quindi si è fermato tutto. Quando sono venuto via da Palazzo Marino il Comune ha deciso di affidare l’Ansaldo alla Scala e di portare li i suoi laboratori e gli uffici del personale del teatro.
C'era anche da parte di Zappa la proposta di un’opera alla Scala. Cosa ricorda in proposito?
Questa era un'altra cosa ancora. Cera il problema dei costi di questa iniziativa. Un banale problema di soldi.
Tenendo conto delle spese approntate per i Mondiali di calcio non pensa che sia stata un'occasione persa per Milano?
Si, però in quel momento il Comune non aveva le disponibilità economiche e la gestione dei Mondiali era fatta da un altro ente.
Magari si sarebbero potute attivare delle sinergie utili a superare l'ostacolo.
L’idea si scontrava con i problemi di bilancio della Scala e del Comune. Anche le idee buone si scontrano contro problemi di natura economica. Io, indipendentemente dai Mondiali, ero per farla, però cera oggettivamente un problema. L’idea di fare un’opera con Frank Zappa a me piaceva moltissimo.
Poi lui è diventato ambasciatore di Havel nella Repubblica Ceca. Non crede che in quel caso la classe politica sia stata più attenta?
Non era quello il problema, glielo posso assicurare. Tant'è vero che con Zappa ho elaborato il progetto dell'Ansaldo. Il problema non era la classe politica, che allora era molto più aperta di quella di adesso. Il problema, lo ripeto, erano i soldi, visto che stiamo parlando di dieci milioni di dollari.
Per la produzione?
Eh sì.
Anche di questa proposta non ci sono tracce scritte?
Sì ci saranno, ma dopo vent'anni bisogna fare i topi di archivio.
Qualche passaggio formale forse è stato registrato.
Dei fare mente locale su dove si trovano. Dovrei avere delle fotocopie, ammesso che abbiano resistito ancora, ma dovrei trovarle. Il vero problema non era comunque la disponibilità quanto le difficoltà economiche del momento. Dopo sarebbe stato più facile.
Però gli anni ‘80 sono stati un’epoca in cui si scialava molto a Milano.
No, no. Si sciala adesso a Milano. Allora il bilancio delle attività culturali era un decimo di quello di una città europea.
Però c’era la Scala...
La Scala aveva la sua programmazione. Le posso assicurare che anche da parte dell'allora sovrintendente non c'era alcuna chiusura.
Il primo musicista non classico ad entrarci poi è stato Keith Jarrett.
Quello era un concerto e questa era un'altra cosa che aveva bisogno di tempi di realizzazione. Non è che in due anni si mette in piedi una cosa così. Ci vuole un po' più di tempo. Soprattutto per un teatro che di solito programma a tre o quattro anni.
Forse certe occasioni sono da cogliere un po’ più al volo. Diciamo più all'americana che all'italiana.
Non è che in America i teatri lirici colgono le cose così al volo. Se va proporgli un progetto tra due anni le ridono in faccia.
L'eccezionalità della concomitanza dei Mondiali poteva determinare un’eccezione.
Sì. Ma poi ci si scontra sempre con la ristrettezza dei tempi e quella di fondi. Per fare gli stadi il Comitato aveva i soldi, però per me il progetto per l'opera di Zappa andava al di là dei Mondiali. Aveva un significato in sé. Detto francamente per me era sprecato per i Mondiali, doveva essere un evento al di là di quelli. Anche dal punto di vista mediatico aveva più importanza fare la cosa fuori dal periodo dei Mondiali.
Sembra che Zappa proponesse una copertura delle spese attraverso delle riprese dell'opera e della vendita ad alcuni broadcast americani che avrebbero trasmesso l'evento. Non so se ne avevate parlato...
Si, avevamo parlato anche di questo. Nel budget c'era anche l’ipotesi di recuperare un po'di soldi in questo modo. Con i biglietti non si sarebbe certamente coperto i costi, le sponsorizzazioni erano orientate da altre parti e con questo si copriva una parte dei costi.
Con tutto il rispetto, però non credo che un compositore contemporaneo “colto” abbia mai potuto presentare un progetto artistico con anche una parziale copertura dei costi attuata tramite accordi televisivi.
Guardi con me sfonda una porta aperta. Questa idea di Zappa andava benissimo ed io ero per cercare i soldi per farla. Solo che stiamo parlando di una cifia notevole dal punto di vista della realizzazione. La cosa più importante era, a parte l'opera che si poteva realizzare con la Scala, tutto il progetto Ansaldo. Un'operazione nella quale Frank Zappa potesse avere un piede a Milano in maniera organica. Quindi non solo quella produzione, ma anche altre produzioni che si potessero realizzare sotto il cappello di Zappa. Finché sono rimasto all'assessorato ho cercato di trovare i soldi per realizzare tutta questa operazione.
Che interessi ha raccolto?
Quello della politica, mentre dall'imprenditoria milanese in quel periodo non ho trovato grandi sostegni. Cera da parte di tutti, nessuno escluso, un grande interesse nei confronti di Zappa, non c'è stata un'opposizione politica.
Come mai non se n'è discusso in Consiglio Comunale per dare un impulso anche in chiave
mediatica?
Secondo lei discutendone in Consiglio si trovano i soldi? Io parlo tutti i giorni di soldi sui giornali, ma non ne trovo, anzi trovo solo tagli per la cultura.
Oggi sarebbe diverso se Zappa potesse proporre qualcosa in Comune?
Forse per fare un evento, magari in piazza del Duomo, troverebbero iso/di. Io credo invece che si debbano realizzare delle cose che durino nel tempo. A parte l'opera alla Scala, il problema era cercare di fare in modo che Milano diventasse un centro internazionale per le attività giovanili e questo naturalmente non si crea dall'oggi al domani. Si voleva ospitare dei giovani artisti per eseguire a Milano le loro opere e mettergli a disposizione dei laboratori. Questa era la mia idea su cui ci siamo trovati con Zappa: fare dell 'Ansaldo un laboratorio creativo. Per questo avevo coinvolto altri artisti milanesi come Maurizio Nichetti per il cinema. Volevamo coinvolgere tutte le capacità presenti a Milano e non solo. Nel capannone 36 si fece il Prometeo di Luigi Nono con la struttura di Renzo Piano. Dentro al capannone 10 si fecero i concerti con Boulez. Si sono inventate tante cose, quando la struttura era ancora allo stato brutale. Ma l'idea era quella di assestare il progetto in maniera che fosse funzionale a questo disegno creativo. E pian piano si pensava anche di ristrutturare i capannoni. Avere come direttore artistico di questa operazione Frank Zappa poteva aiutare la sua dimensione internazionale.
E perché aveva pensato a lui?
Perché era un tipo geniale nella musica, nel cinema e nella televisione. Il suo nome per la struttura dell’Ansaldo e per Milano poteva essere una grande chance per richiamare l’attenzione sulla città in maniera continuativa. Un punto di riferimento nel mondo intero.
Quand'è che è terminato il suo mandato di assessore?
Nel 1990 con le elezioni.
Riassumiamo: in occasione dei Mondiali di calcio Frank Zappa propone a Milano l’opera “Dio fa” che si ispira al mondo del pallone; I costi per la produzione sono alti, ma manca la capacità di intuire l’importanza della proposta di un personaggio “vendibile” in tutto il mondo sotto il cappello di una città che punta moltissimo, nella declinazione delle sue diverse attività produttive, al marketing del proprio territorio. Milano invece perde l’occasione, nonostante ci sia chi si sforza di creare attorno a Zappa un progetto ancora più “utopistico”: farlo diventare direttore artistico di un polo culturale di importanza inimmaginabile. La storia è andata diversamente, forse con il sollievo di quanti hanno voluto continuare a professare liberamente la propria fede nel dio-calcio. A questo proposito vogliamo citare un commento tra i tanti che stampa nazionale dedicò al progetto:
“La vita riserva qualche sorpresa. Non avrei mai creduto, ad esempio, di poter dare un 7 a Paolo Pillitteri, sindaco di Milano, ma lo faccio volentieri dopo aver letto, nell’autobiografia di Frank Zappa (6,5 e preciso che il libro non l’ho comprato), la trama e i contenuti dell'opera rock che Zappa aveva in mente di allestire a Milano per il mondiale. Pillitteri si è opposto e lo ringrazio, almeno questa ci è stata risparmiata.”
(Gianni Mura, “La Repubblica”, 12 giugno 1990).
Un'infinità di altre occasioni culturali sono state risparmiate a Milano e non si può dire la stessa cosa della vergogna che le sue classi dirigenti ci hanno fatto provare in tutti questi anni.
“Datemi qualcosa, qualsiasi cosa, e ve la organizzerò”. Forse tra queste cose Frank Zappa non aveva previsto Milano e la sua cultura. Cosi il dio-calcio è cresciuto fino a diventare la creatura omologante di oggi, nonostante come si dica – almeno a Torino – dio fa, dio è falso. Ma non per tutti.
Note:
Le fotografie di Fabio Treves, che qui ringraziamo, sono state scattate ai concerti del 9 settembre 1974 al Velodromo Vigorelli di Milano e del 2 giugno 1988 al Palatrussardi. Il ritratto invece risale al 1982.
La foto di Zappa e Treves insieme a Palazzo Marino nel 1988 è di Maki Galimberti.
Le citazioni presenti nel testo sono tutte tratte da “Frank Zappa. L’autobiografia” di FRANK ZAPPA e PETER OCCHIOGROSSO, Arcana 1990.
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