Frank Zappa: elogio di un bel niente
By Riccardo Bertoncelli
Dal profondo degli archivi esce finalmente un gioiello: l'anello di congiunzione tra due miti zappiani come «Hot Rats» e «Chunga 's Revenge».
Quando Frank Zappa ci lasciò, nel dicembre 1993, il suo contatore discografico segnava 62; tanti erano i d'schi pubblicati e mantenuti in catalogo dalla Zappa Records, dall'esordio 1966 con i Mothers of lnvention, «Freak Out!», allo «Yellow Shark» con l'Ensemble Modern uscito poche settimane prima della morte. Trent'anni dopo, aperti gli archivi e accumulata una piramide di live inediti provini restauri lost episodes, la discografia risulta più che raddoppiata: «Funky Nothingness», il triplo cd che esce in questi giorni, porta il numero 126. La notizia però non è questa: abbiamo sempre saputo che Zappa ere un esagerato, un workaholic, che una ne faceva e cento ne pensava, che a ogni disco pubblicato ne corrispondevano tre nel cassetto. La notizia quasi incredibile è che nastri come questi escano solo adesso, dopo tante pagine storiche e significative ma anche bone minori, quisquilie, fogli volanti. Parliamo dell'anello di congiunzione fra due miti zappiani come «Hot Rats» e «Chunga's Revenge», in una delle più fervide e brillanti stagioni del nostro eroe, con tutta una serie di misteri e segreti finalmente svelati. Si fossero decise le uscite d'archivio con un referendum tra gli appassionati quest'album sarebbe uscito moooooltissimi anni fa.
Secondo la versione ufficiale, vista la buona accoglienza di «Hot Rats» Zappa pensò a un rapido seguito e per quato cominciò a registrare fin dal febbraio 1970, arrivando in breve a una selezione di undici ban quelli che si acoltano nel primo di questi cd. Stabili anche il titolo, «Funky Nothingness», riciclando (come amava fare) un'ideuzza stipata in archivio fin dal 1967, due minuti e quarantacinque messi li a introduzione. La mente zappiana coneva veloce, il tempo di immaginare un simile sequel e Frank aveva già cambiato idea. ln quell'inizio 1970 girò tre formazioni diverse e quella che più lo convinse fu la terza, quella con gli ex Turtles Mark Volman e Howard Kaylan che a noi zappiani fece venire tutta una serie di malanni (compreso il ginocchio della lavandaia). A quel punto per lo smanioso FZ era imperativo testare la nuova band in studio, ed ecco «Chunga's Revenge», un lp millegusti che neanche sotto tortura si poteva definire un «Hot Rats 2»; e in effetti l'album accoglieva assai poco di «Funky Nothingness», che a quel punto spari ventimila leghe sotto i mari, come tanti galeoni zappiani alfondati dall'imprevedibile capitano.
Mi permetto di non essere d'accordo con taversione ufficiale, acconciata un po' ad arte. Non dubito che per alcuni giorni, settimane o forse solo ore Zappa abbia pensato a un «Hot Rats 2» ma mi rifiuto di credere che intendesse pubblicare un album con la scaletta del cd 1, tanto sconnessa, incoerente, con idee brillanti ma pure appunti frettolosi, semplici bone. Il fatto ë che a Zappa piaceva avere la dispensa piena, e ogni occasione era buona per registrare e riempirla. Quando poi scoccava l'ora di un disco, il maestro apriva la madia e sceglieva, montava il suo collage, componeva il puzzle che solo lui sapeva. «Hot Rats» fu unleccezione, un disco delimitato e circoscritto nel tempo. Con «Chunga's Revenge» Zappa tornò al metodo di «Uncle Meat», «Burnt Weeny Sandwich», « Weasels Ripped My Flesh»: una certosina arte del mosaico rock, con pezzi di epoche e formazioni diverse, secondo l'insindacabile disegno della sua mente a più strati.
Torniamo a «Funky Nothingness». Zappa sciolse i Mothers of Invention nel 1969, dopo un ultimo tour terminato a luglio. Quando riprese la strada un mese dopo si presento con una formazione molto più snella, in quintetto, recupe rando i principali collaboratori delle sedute di «Hot Rats» (Ian Underwood, Max Bennett, Sugarcane Harris) oltre a un giovane batterista inglese venuto dal blues, Aynsley Dunbar, gia nei Bluesbreakers di John Mayall. Era un gruppo interessante che non durò molto, smembrato dal leader quando arrivò la primavera. Pu pero con loro che Zappa condusse il progetto «Funky Nothingness» tra febbraio e marzo del 1970, nelle sale degli studi Record Plant che all'epoca parevano il non plus ultra.
Come e più di sempre, Frank in quei giorni sentiva di contenere moltitudini. Era il visionario che imbracciava la chitarra per voli hendrixiani verso le stelle, il provocatore rumorista che cercava contatti con la contemporanea ma anche il nostalgico che tornava teenager e ricordava i pome riggi passati con gli amici ad ascoltare i dischi proibiti di musica nera o le smancerie dei complessi doo-wop. Sono queste le tematiche di «Funky Nothingness», e le più attraenti sono proprio le madeleines di Lancaster, la città del sud California dove Zappa visse i suoi diciott'anni e i primi innamoramenti r&b. Uno degli artisti che il giovane Frank ascoltava all'epoca era Don «Sugarcane» Harris, un violinista che si era guadagnato il soprannome per la sua fama di sciupafemmine ma aveva doti che andavano ben oltre il sesso. Harris aveva cominciato con una microformazione californiana, The Squires, ma il meglio lo aveva dato in duo, con il pianista Dewey Terry, sgomitando nella scena minore per una decina d'anni, 1957-1967, con sigla Don & Dewey. Non avevano mai firmato successi ma qualche brano era rimasto nell'aria, e anche Neil Young un giorno se ne sarebbe ricordato riprendendo la loro Farmer John. Dopo aver suonato per breve tempo nella band di Little Richard, Harris spari di circolazione, fino a che sul finire dei Sessanta Zappa non ebbe un attacco acuto di nostalgia e si mise in testa di recuperare quel vecchio eroe. Lo ritrovò in galera, e gli toccò pagare la cauzione per rimetterlo in liberta e verificare se ancora sapeva maneggiare il violino come un tempo.
Fu un ottimo affare, perche Harris non era per nulla arrugginito, anzi, da qualche tempo era passato con profitto allo strumento elettrico e poteva essere utile a certe fantasie zappiane di fine Mothers, che appunto richiedevano quei timbri. Harris esordi bene su «Burnt Weeny Sandwich», ricamo con passione «Hot Rats» e fece ancora meglio su «Weasels Ripped My Flesh», con uno strepitoso remake di Directly From My Heart to You, il confettino di Little Richard al cui originale aveva contribuito con la band di Johnny Otis. Zappa era al settimo cielo e lo promosse nel quintetto che dicevamo, nominandolo ministro dei bei tempi andati e complice dei viaggi musicali che aveva in mente. A lui, violino e voce, affidò la medley di Work With Me Annie / Annie Had a Baby, dove si rendeva omaggio a una grande vittima della storia rock, Hank Ballard, a cui si deve l'originale The Twist di cui Chubby Checker si prese la gloria. Ballard era un cantante spiccio e sgherro di quelli che piacevano allo Zappa teenager, e i suoi capolavori furono le censuratissime caraoni della mini-saga di Annie, dove la ragazzina prima soddisfaceva un arrapato corteggiatore e poi rimaneva incinta. Canzoni del genere non passavano per radio, viaggiavano sulle onde cortissime del passaparola fra amici, e per lo sbarbo Frank era un plus. Alla radio passavano piuttosto bonbon come Love Will Make Your Mind Go Wild, singolo Penguins 1954 su etichetta Dootone, e anche quello troviamo, in doppia copia, nella rete di «Funky Nothingness». È un classico doowop di quelli che Zappa per tutta la vita ha sbeifeggiato e amato, deriso e sbaciucchiato; e chi ci coglie la fonte di un classico Ruben & the Jets, Love of My Life, forse non sbaglia. La madeleine più buona dell'album è comunque I Am a Rollin' Stone, bellissima ripresa di un tema blues che affonda le sue radici ñno agli anni Venti del secolo scorso. Il più importante interprete/rielaboratore del brano fu Muddy Waters, che nel 1950 debuttò per la Chess con un 78 giri intitolato Rollin' Stone (proprio quello che ispirò Jagger e compagni), ma Zappa e Sugarcane sembrano rifarsi a una versione più tarda, quella di Lightnin' Slim del 1957 che appunto portava come titolo I Am a Rollin' Stone. Quegli antenati si sbrigavano in fretta, una facciata di singolo doveva stare in tre minuti; Zappa invece se la prende comoda, dondola al malizioso ritmo dell'originale e la tira lunga per dodici minuti, esplodendo continue fantasie di chitarra a cui Sugarcane risponde con la voce atfilata del suo violino. Che una delizia del genere sia rimasta negli archivi per trent'anni, sfuggendo anche ai radar dei bootIeggers, è un mistero ma soprattutto un delitto. C'e un'altra perla in «Funky Nothingness», questa pero gia nota agli zappiani completisti: una formidabile Sharleena di dodici minuti, con lancinante assolo di Sugarcane e psicotica risposta di FZ alla chitarra, che surclassa la versione che alla fine fu scelta, più breve, morbida, mi verrebbe da dire scarica. Quando gli eredi Zappa cominciarono a sfruttare l'archivio scelsero spesso la forma dell'antologia bits and pieces e questa formidabile take fini confusa in una raccolta del 1996 denominata «The Lost Episodes». Inutile dire che qui, contestualizzata, brilla di una luce ancora più vivida, e rientra sempre nel campo del mistero, e del delitto, la sua esclusione dalla edizione finale di «Chunga 's Revenge». Zappa suona molto la chitarra in queste sedute, sta cambiando pelle e si sente più sicuro come strumentista. Str'mza in continuazione idee, spunti, riff, e se davvero accaraza l'idea di un «Hot Rats 2» lo immagina più incentrato sulla sua figura. «Funky Nothingness» riporta tutto, e per gran parte sono allenamenti, vaghe prove, sogni. Le varie Khaki Sack, Moldred, Twinkle Tits non approderanno da nessuna parte, una Basement Jam non troverà neanche il titolo, cosi come un lo gorroico Tommy / Vincent duo. Da tutto questo traffico di note Zappa isolera giusto due pezzi per chitarra, Transylvania Boogie e Chunga's Revenge, che qui ascoltiamo in ottime versioni alternate, oltre a The Clap, che vale come suo divenissement percuttivo. Tutti e tre i brani tiniranno su «Chunga's Revenge» ma in versione ridotta, nel caso di The Clap proprio miniaturistica (un minuto e ventitre). Il padrone della musica alla fine ha deciso che less is more, e chissa se è la scelta giusta. Lo abbiamo pensato per anni, ora che conosciamo questi nastri le certaze vacillano.
Zappa abbandonò il quintetto dopo que z ste sedute, tenendo solo Underwood e Dunbar per la nuova formazione, quella con Kaylan e Volman, che debuttò a giugno e rimase in giro sino a fine anno. Sugarcane saluto ma non rimase senza far niente. John Mayall lo ingaggio per «Usa Union» e ne fece una colonna delle sue varie band per tutti i primi Settanta, e Joachim Berendt dalla Germania lo chiamò per prestigiosi concerti e una lunga fila di registrazioni per la MPS/BASF. iniziò li una seconda vita musicale che sarebbe il caso di rivalutare, cominciando magari da un dimenticato album del 1971, «Sugar Cane's Got the Blues», in cui si schierava una formazione da sogno: Harris al violino, Volker Kriegel e Terje Rypdal alle chitarre, Wolfgang Dauner tastiere ed elettronica, Neville Whitehead basso, Robert Wyatt batteria.