Saggia intorno alla nera anima di messer Francesco Vincenzo Zappa
By Riccardo Bertoncelli
Con l'elencho completo delle di lui invenzioni et mirabilie et profezie gloriose et altri incantamentimusichali ...
(Baltimora 1940 - Washington 1990)
Musicista e presidente degli Stati Uniti. Fu per anni leader di un complesso chiamato Mothers Of Invention, piu o meno all'epoca del rock & roll. Abbandono' l'attivita' artistica nel 1978, dopo che un attentato del fronte di liberazione pop durante una tournee Italiana aveva completaminte sterminato la sua band. Ritornato negli States visse per cinque anni in completa solitudine tra i vigneti di Cucamonga. Ripescato dal vecchio manager Herb Cohen si dedico alla attivita' politica, diventando ben presto leader del partito democratico. Alle elezioni del 1990 fu eletto presidente dopo una sanguinosa campagna durante la quale era stato trucidato il leader avversario, il filoisraeliano Robert Zimmermann. Il suo governo comunque duro' pochissimo: la fine di Zappa, dovuta ad omicidio, e' uno dei punti punti piu' oscuri della recente storia Americana. Tra le opere durante i pochi giorni di potere ricordiamola sostituzione di Stars & Stripes Forever, inno nazionale, con Willie The Pimp: la distruzione di tutti i dischi di Capitain Beefheart: la creazione di un Centro per lo svilupo dell'orgasmo sessuale, a Los Angeles, diretto da Woody Allen ed Henry Kissinger.
Mettiamo subito le cose in chiaro: Frank Zappa e un s alchimista, un signore con baffi e toga e nero cappuccio che da anni lavora tra filtri e alambicchi alla ricerca di quel Gas Esilarante che è la Musica Liberata, il Suone Potente. Ne abbiamo fatto tutti le spese, di questi giochi/sortilegi in chiave artistica: incatenati e oppressi da anni di musica e travestimenti, e polemiche, dito negli occhi, sberleffi. Chi dunque meglio di lui merita discorsi e «filosofie» a tremiladuecento prole? Ma non certo per «capirlo» o togliergli il senno oppure (fine rovinosa!) per limitarlo con fiocchetti da scolaro: bensì per seguirlo e basta, ed estrarre il succo magro e imbevibile del suo «far musica», la tela amplissima che ha un significato ed UNO SOLO, fatto di ortiche e Strawinskij e bucce di banana, e il faccione allegro di George Duke.
Mettiamoci dunque a Cavallo, sulle orme della volpe zappiana: depennando però le nostre voglie «consuete», i nomi e i cognomi e i pettegolezzi da trovare sull'elenco telefonico dello Musica Pop. Zoppo non vuole questo: e lo rifiuto lo suo stesso musico, obliquo e mai piano, spigoloso con mine e controbombe, piena di gulp!, di gasp!, di flash venuti mole e di orgasmi dozzinali, com'è appunto nella logica che andiamo a presentare ...
La Corte di Vienna, un giorno di primavera del 1785. Il solito ballo mascherato. Le solite contesse dei soliti film dove il colpevole è il maggiordomo e i cavalieri portano colletti di pizzo e lunghe vesti lavorate. Appare il re. Applausi: inchini. (Svenimenti).
Frank Zappa è in fondo a destro. I capelli lievemente vaporosi, il ghigno composto, uno spada affilata appena uscita da un'officina delle Fiandre. Accade tutto in un ottimo. Il primo colpo è per la Regina (brandelli di sottoveste). Poi per un'invitata di secondo piano (via la parrucca). Infine il colpo alla contessa (come di rigore) (una Z sul corpetto e scampoli di seno). I capezzoli vagano in cielo e raggiungono il povero Mozart ai turno alle prese con ciaccone e minuetti. Sgomento, e poi appare I'ANTICIPAZIONE di Jelly Roll Morton che sputa fuori una velocissima quadriglia. Zappa ritorna nell'ombra mentre l'orologio della reggia fischietta Uncle Meat. (Si fa avanti Bunk Gardner vestito da paggio, a offrire deliziosi canditi viennesi ...).
Dobbiamo dunque parlare di un'arte «che arte non è», e di un musicista che s tutto fuorché bacchettone -- signore con colletto inamidato e insomma, di fatti e avvenimenti che farebbero dispiacere a qualsiasi compilatore di enciclopedie musicali.
Non ci sono definizioni possibili, innanzitutto: ed è già la prima fucilata alla schiena per gli avvoltoi con le etichette pronte, il calcio nei denti decisivo per chi vuole «indicazioni», nomi, coccarde ancor prima del disco sul piatto. Ahimé, qui il mondo trema già: e in effetti chi oggi (dopo tonnellate di musica) con note e spazi tra le mani riesce a tenersi vergine da strade già fatte, da compartimenti stagni, da «itinerari mitici» grandi e piccoli che siano? Nessuno, certo, o ben pochi: ed ecco il perfido Zappa a rifiutare ogni cosa, a barare al gioco, a mettersi sopra, sotto, in diagonale, in verticale, con salti mortali e tenerissime piroette pur di non farsi acciuffare. Nebbia. Terrore. Schiuma alla bocca. Crisi delirante per chi si ostina a non «vivere la musica», facendo scorrere la pallina del proprio godimento lungo l'eterno tunnel del precostituito.
Per costoro, per ali alienati da secoli di «musica a generi», Zappa è un esibizionista, un buffone. Un malvagio gambler da vecchio West che ha dimenticato le regole del gioco. Insomma, in tutta sincerità, è mai possibile servire: marmellata e poi torte in faccia, antipasti piccanti e pollo arrosto, TUTTO INSIEME, tutto chiaro, senza i travestimenti, gli inchini, i baciamano cerimoniosi codificati e NECESSARI? E poi quell'aria delirante, il grottesco che invade ogni spazio, la serieta che code a tocchi facendosi pasto per formiche ... dove mai e stato scritto che questa e musica, dove mai e stato detto che il rumore (lo sberleffo), l'insulto (l'umorismo) possano vivere guancia a guancia con l'Inimitabile Accordo di Settima.
Il primo Zappa, quello ci frantumò cervelli e speranze con il Freak Out! pezzo d'antologia, era certo una perfida incarnazione dell'«arte scandalizzante». Un cattivissimo burattinaio, giunto al mondo con il pesante bagaglio di trucchi e bottiglie molotov, conscio di essere almeno dieci anni avanti agli altri, sicuro sino all'incoscienza di poter liquidare Beatles e Stones ingoiandoli d'un fiato.
Il suo, nell'era dei Cream e dei Byrds «lisergici», del Sergeant Pepper's e di Ruby Tuesday, fu un calibratissimo gioco di prestigio: con la spettacolosa convinzione di dover rifare il mondo dalle radici e la musico usata di conseguenza, e lo scandalo, l'insulto, la beffa, come armi triviali da gettare in faccia al nemico. Si spiega tutto, in quest'ottica, e ogni cosa diventa chiara: e la nostra ammirazione si fa stupore, occhi sbarrati, quando si pensa a un Freak Out!, a un Absolutely Free, a un Lumpy Gravy e si pone mente all'ipocrisia del tempi, al cervello ancora da sgrezzare (e quel demonio che si vestiva da giullare dopo aver capito tutto, e ci chiudeva la porta in faccia perché era quello che volevamo, e ci gettava la pece addosso perché tutto doveva essere proprio così ... masochismo?). Rumori (gli infernali gargarismi presi in prestito da Edgar Varèse) e piccoli cori sboccati, Il rock fatto girar veloce come in films di anni '30 e parole di fuoco: un collage new dada che era l'America solarizzata e vista di sbieco, scoperta in vestaglia con capelli spettinati e non certo ammirata «nello splendore del suono stereofonico».
Tutto serviva per avvincere e sgominare: e se la voglia di saliva altrui era sempre innanzi a tutto -- idea malvagia! -- c'era pure la squassante lucidità dell'artista, quel non tirar troppo la corda, quel muovessi e decidere il proprio umorismo senza nulla concedere che era segno nitido di una nuova «serietà» (questa volta senza ipocrisie, questa volta con luci in testa).
Chi infatti si sarebbe mai atteso i dialoghi ossessivi di Freak Out!, Help I'm a Rock s le nuove corali per teste in fumo? E chi poi avrebbe scommesso un centesimo sulla fantasmagoria di Absolutely Free, li cranio fatto voltare a 360 gradi e poi spremuto come un limone, arresti, cambi di tempo, vocine veloci e i tamburi di una banda, che da sempre batteva il tempo nella nostra mente? Imprevedibilità, porte sbattute e specchi in frantumi: e salti avanti (sempre oltre!), un inseguimento che era beffa e sfregio all'ascoltatore medio definitivamente castrato (non era forse stato scritto che la musica andava sentita a letto, tra coperte e cuscini?). Nello scenario, oltretutto, di un dialogo accanito con la gente, le United Mutations e tutto il resto, Frank Zappa che dava appuntamento ai cervelli bacati in giro e finalmente qualcuno che riuscisse a evadere dai sentieri di foto sopra il letto-immagine sui rotocalchi!
Il primo artista, l'uomo alle rodici, verte tutto su questi concetti: con la spada che in eterno solletica la nostra gola (un passo ancora e poi lo morte ...) e le Invenzioni esatte per prendere la distanza: (i tumulti scenici di cui già si è detto, I testi di Absolutely Free spediti alla gente saltando a lingua in fuori gli ostacoli della censura, la copertina di We're Only In It For the Money meraviglioso scherno alla magia dei Beatles). Espedienti («choc terapeutici») per tirar di qua l'attenzione e dire la propria; con la certezza che sotto, oltre la maschera e le rughe artificiali, qualcosa si muove e feconda, una musica che chiede partecipazione e nervi puliti e cuori purificati, questo soprattutto. Come non credere dunque all'artista quando ricorda con nostalgia e occhi lucidi un capolavoro pur fragile come Lumpy Gravy? («Il mio disco migliore») (in effetti tutto culminava in quegli sproloqui dove il « rumore» mangiava ogni cosa e ci costringeva a guardarlo negli occhi e in definitiva, con cuore in gola e mani tremanti, tra il suono di una porta cigolante e un perfetto accordo di pianoforte la differenza non sia forse solo nella e «nobiltà» da libro di testo?).
Ma Lumpy Gravy già segnava il termine dell'avventura d'inizio: perché molto era detto e stabilito, e Il campo dissodato, e già qualcuno al divertimento puro sostituiva la pretesa, la voglia di clowns sulla grondaia di casa, senza stare al gioco. Fu il secondo episodio, il secondo Zappa: e l'equivoco madornale della linea che tutti sbagliammo a tracciare (il prima e il dopo) (un cancello tra lo Zappa giovane e quello vecchio, tra il «buffone» e il «musicista», mentre in realtà tutto era danna· temente all'opposto e semplicemente l'acqua cambiava il colore senza mutare il sapore, e Frankenstein ora lo stesso con aculei e note al posto di gesti e sberle ne l'anima ... ).
Venne la musica e Il carillon e la sarabanda: e anche lo storcere Il naso di chi in fondo non aveva capito nulla e avrebbe barattato con sublimò incoscienza tutto l'Uncle Meat leggendario con milioni di dischi sempre EGUALI, sempre aderenti ai desideri (e i «musicologi» seri si illusero che il buffone fosse tornato all'ovile perché in fondo «c'è del talento» -- basto King Kong a sotterrarli, comunque). Parole sempre più stinte, collage in rapida dissoluzione: e il rassodare lento e inesorabile di musica nuova, l'ampliarsi delle strutture, il Jazz, la marmellata di Varèse, lo sciroppo di Strawinskij e tutto Il calendario liturgico in un calderone bel· lo e nauseante. Era lo Zappa completo (ma non definitivo): anche se la gente lo evitava (come sempre), anche se andò in gloria soltanto Hot Rats, forse per quella sciocchissima sortita degli immancabili tirapiedi (ma questo e anche lazzi) che si tennero in gola i e buoni giudizi " per opere ben più lucenti Burnt Weeny Sandwich, ad esempio, la musica ormai disidratata con accessi di pazzia e nevrosi, proviamo dunque ad ascoltare Holiday in Berlin, Full Blown e il cerchio eterno della musica clownesca, o Little House I Used To Live In, la parabola semiseria della orchestralità zappiana ...).
Fu a quel punto (1970 o giù di lì) che forse qualcosa prese un guasto o forse la mente mutò sintonia o forse, più semplicemente, l'artista decise di cambiare il gioco. E quella che era stata L'IMPIDISSIMA EVOLUZIONE, gioco telecomandato e beffardo, prese a diventare montagna russa, strada a balzelli, singhiozzo ossessivo, con le delicate ciprie zappiane a confondersi con orpelli da supermarket. Una sorpresa agrodolce; perché voleva dire abbandono della sacrosanta lucidità e ritorno a gesta antiche, una visita alla vecchia amante passando dai soliti abbaini. Il signore imprendibile si faceva trovare con un sorriso; e restammo in silenzio per un anno almeno, sbigottiti da quella musico rientrata accuratamente nei ranghi, negli scaffali di un «diverso» che ormai era preda di tutti, inutile finzione. Suono smidollato, le vecchie canzoncine che ormai non brillavano più come dovuto: e i gesti «anormali» e «pazzi» inseriti nell'armadio delle «cose da fare ». Triste verità di un Frank Zappa che cercava di piacere: e anche se piu tardi intuimmo che l'uomo bluffava con se stesso (mostrarsi brutto per poi affascinare -- semplificarsi per aggredire meglio, dopo ...) ci restò l'amaro In bocca di molta arte sprecata, cristalli per squallida gente e non mal le elettriche noccioline dei giorni felici.
Ma è giusto ricordare anche la conversione, quegli improvvidi Flo & Eddie relegati nel girone dei dannati e a sfera zappiana ritornata giustamente nera e fuligginosa, Waka/Jawaka e Grand Wazoo che ci fecero tremare le budella come ai tempi dei tempi -- ritornava forse Francis Vincent Zappa a morsicare la mela della scintillante assurdità? Certo il suono era ancora febbricitante, certo mancava l'antica voglia di collage e c'era un certo ordine -- tutti i pezzi ben distinti e ripuliti, oddio ... ma anche fiati spernacchianti e armonie stravolte, e il flaccido corpo della Signora Musica messo in mostra per pochi centesimi di dollaro. Insomma, soprattutto Grand Wazoo mi sembra un punto di arrivo non da poco: con l'artista capace di afferrare il senso delle cose e cioè di capire al momento giusto che non è più ora di infangare la musica lodata ma di lodare la musica Infangata e cose simili -- una specie di Grosso Libro del suono da circo.
Tutto perfetto, se poi non accadesse che il quadro muta una volta di più, e vengon fuori Over Nite Sensation e Apostrophe e ancora l'uomo gioca con i soldatini in freddi sottoscala mentali. Le parole si sprecano (e il più delle volte irritano), la musica si fa rigida e imbellettata, l'allegro strabismo sonoro prende rovinosamente la fuga: e assistiamo una volta ancora alla festa del signor Zappa «proprio come dovrebbe essere», per la gioia d, vecchie signore dal seno cadente e di critici imbecilli che non riescono a vedere in quella musica dozzinale la botola dove vanno a cadere tutti i sogni giustamente colorati.
Quindi: lo Zappa d'oggi e il manichino di se stesso, lo Zappa d'oggi è un astuto mestierante che merita sciabolate di faccia e di fianco. E tutto ml fa pensare a una malefica congiura -- la Bizarre che chiude e la Discreet che prende a sfornare canzonette orrende, la gioia sfrenata per i dischi che finalmente entrano nel Top Ten, le commemorazioni ufficiali per i dieci anni delle Mothers. Dove vuole arrivare questo re dei travestimenti, non luccica forse troppo il mito della imprevedibilità? (potrebbe anche dorsi che Frank Zappa sia stato fatte uccidere dopo le registrazioni di Grand Wazoo o forse anche prima ... una taglia di dieci milioni per Il suo cervello, vivo o morto!).
Eppure, Zappa ha la ragione dalla sua. Perchè oltre i limiti e la buona educazione (via le dita di lì!), oltre le sante parole e «quello che non si può fare» resta la verità di una musica che scuote l'aria, bastarda ed elettrica, e viva, e coinvolgente. Ancora una volto i fatti seppelliscono le teorie. E ancora una volta chi ascolta, chi vive, deve adeguarsi e non tiranneggiare, scacciato con un soffio dallo scranno comodo della «musica a gettone». Non è quello che volevamo, certo non è quello che immaginavamo: ed è giusto e terribile, un'arma in più per l'artista che già manovra cervelli e fibre nervose e chissà dove potrà giungere di questo passo... Imprevedibilità, dunque: e quella santa voglia di scappare dalle sbarre gettando le lenzuola attorcigliate fuori dal pentagramma che siamo costretti a chiamare «follia» o «bizzarria» giusto per amore di contrasto con la schiera eletta dei e «normali» signori di musica.
Ma improvvisamente un oggetto malefico solca il cielo: un velocipede aereo, una misteriosa creatura con due ali di cartapesta e un sottile ago di ferrò a prua. Lo scontro è inevitabile: il pallone si affloscia e la mongolfiera cade a capofitto in mare mentre i baronetti impettiti cantano per l'ultima volta Eleanor Rigby. Sul velocipede, con un sogghigno beffardo, pedala tranquillamente Sir Francis Vincent Zappa, duca delle Prugne ... ).
Ma c'è dell'altro, nella torta di ribes zappiana, oltre questa insofferenza a schemimenti «sballati»!). Il divertimento, il mago cattivo che tutti regalano alle fiabe e ai bambini: mancava solo quello alla fiera di streghe e di orpelli del signor Zappa. Ed è un'arma decisiva, celestiale, importante: perché tutto Impallidisce e lo sberleffo la trer iare i muri e la coscienza prende a domandarsi chi mai ha deciso che le cose non stiano PROPRIO COSI (mi viene in mente Gioacchino Rossini che componeva «concerti da campagna» cosiddetti per ovvie ragioni -- e cioè al colpo di grancassa era sostituito il colpo di spingarda con immaginabili conseguenze ...) e ben vengano allora i tamburini scozzesi di Eat That Question e le vocine cinesi di Uncle Meat e le impennate arteriosclerotiche di Peaches en Regalia. Sono immagini di un suono che riparte da zero e già brucia i connotali: e insomma, era ora che qualcuno raccogliesse gli scarti altrui e si accorgesse che la verità ancora non era stata inventata, con vecchie volpi per signora, sottovesti rattoppate e un fantasma di quarta categoria con un buco nel lenzuolo ...
Ma un problema urge, e si fa avanti a spintoni: dove mettere questa musica, in quale scenario collocarla? Non certo in palcoscenici vellutati e quattro-ragazzi-quattro con giacche e chitarre: e nemmeno in mondi californiani con campanelli e stoffe larghe e capelli annodati da «pace e amore». Ma nel reame dell'improvvisazione nel mondo bacato del Gesto e dell'Insulto: ed è quello che Zappa ha sempre fatto (o quasi) cercando di tirare i fili di un discorso che fosse vista-udito-lingua in fuori-pene in erezione e non solo l'orecchio istupidito e il piedino a saltellare. Ecco allora il senso di leggende lontane Zappa che sale all'orgone della Royal Albert Hall per intonare Louie Louie e il favoleggiato Hello Pigs che faceva rabbrividire damerini e poliziotti, e i duelli con foglie d'insalata tra i membri del complesso e i busti di marmo a far bella mostra di sé nella selva dell'amplificazione.
Tutto si spiega: e la musica esce dal quscio per farsi teatro, vita, per mondare a segno l'enorme energia sprigionata, senza abbandonarla a mezz'aria. Formidabili avventure nella Torra della Pazzia, happening necessari che risolvevano il concerto in u:.o scontro campale tra emozioni, desideri, modi di vivere addirittura (com'era possibile infatti uscir con testa vergine dopo avere ACCETTATO una simile sonorità?). E non c'ero David Bowie, non c'erano Hendrix o Morrison o Keith Emerson nella notte dei tempi: e quel delirio scuro, que potpourri di musica ed interpretazione veniva fuori spontaneo ancor prima di esser «inventato», partorito a forza do un suono che aveva bisogno di gesti e risoluzioni in scena e dialoghi di amore / odio con la gente.
Se lo Zappa di oggi ha rifiutato quelle antiche cose, se il suono adesso corre e dilania nel silenzio del resto, è solo perché il meccanismo si è perfezionato, l'orologio non perde più un colpo: e la musica rimasta sola (ma con le parole, attenzione!) riesce nell'impresa impossibile di comunicare TOTALMENTE, eccitando e coinvolgendo, tirando i peli e scuotendo l'anima come forse nessuno, nell'anno di grazia 1974, è ancora riuscito a fare. C'e sempre il ghigno malefico d'Frank, insomma, e Billy Mundi ·anarchico rolacco», e Roy Estrada a gettar scope in pubblico, e Zappa ancora a prendersela col signore in prima fila: ma è tutto impastato nella musica, intuito e fatto chiaro senza che nulla in pratica avvenga. E dove trovare una virte più sconvolgente alla musica di questo parlare e irridere e tirargiù demoni dal cielo senza che in realtà nessuno muova un dito?
Dorrei oggi parlare di un argomento scabroso e interessante -- per cui prego bambini e vecchiette di allontanarsi: i testi di Frank Zappa. Nessuno ne sa mente, o meglio circolano divertentissimi luoghi comuni che dicono più o meno questo: Frank Zappa è un lupo mannaro, l'America esce a brandelli dalle sue sventagliate con mitra in mano.
Ahime, la realtà e ben diversa; i canini del nostro uomo non sono poi tanto affilati, e lo Zio Sam che esce dalle raffigurazioni dell'artista e un vecchietto con cilindro e bastone e ossa ancora integre, capace di correrre piuttosto lontano (in Indocina? in Medio Oriente?). Insomma, i nostri antichi paragoni con Fugs e Country Joe (che bellissime bestemmie volavano allora!) non reggono più di tanto: e ci accorgiamo che qui l'Amerika e presa a sberle senza cattiverie, e dopo qualche traballamento, qualche sputo nell'occhio, ogni cosa è sana e normale come prima. In tutta la vicenda delle Mothers solo un testo (Trouble Comin' Every Day, su Freak Out!) prende il problema per la coda -- disordini negri a Watts, il ghetto di Los-Angeles, fuoco e fiamme, terrore, incazzatura -- ma sempre con l'aria di chi c'è dentro per coso e guarda tutto dalla finestra un po' annoiato. Il resto sono occhiate insipide e di maniera, come Hungry Freaks Daddy che sgrana il rosario ormai stinto della alienazione amerikana, o Plastic People, o Who Are The Brain Police, con i riferimenti scantati a una vita metallizzala piena di decalcomanie esistenziali.
Ma ehilà, stiamo mettendo in dubbio la godibilità dell'«operazione letteraria» zappiana: godibilità che invece è nitida, indiscutibile, lampante. Solo che l'obiettivo è sbagliato, il fine è miserevole: con l'ironia travolgente che gli brucia in mano («Zappa ha un modo di guardare le cose corrosivo, dirsi veramente siciliano» mi disse un giorno Jean-Luc Ponty) il nostro uomo avrebbe dovuto fora ben altro, abbattere porte, cancelli spezzare qualche migliaio di denti, squartare nemici e traditori. E invece ecco lo sberleffo obliquo ai «figli dei fiori» (c'è una tremenda dimostrazione dell'odio zappiano per il movimento di California -- Who Needs The Peace Corps disegna l'età d'oro di San Francisco con le tempere color merda di una reclame di agenzia turistica) ecco la bieca presa in giro del falso hippy smidollato (Flower Punk), ecco la tirata di capelli al battage pubblicitario (Electric Aun+ Jemima) e via di questo passo, in una fiera di parole che cia ci sono rimbombate in testa mille volte (però vorrei salvare dal massacro almeno ldiot Bastard Son, con quell'odio bellissimo per un tipico figlio d' America che viene per la prima volta chiamato per nome e cognome, e dunque idiota e dunque bastardo ...).
Tirando le somme, non c'è da far capriole di gioia: e solo grazie a sapienti giochi da istrione (il linguaggio spudoratamente slang, con capitomboli letterari e paurose gaffes e doppisensi maligni; la struttura quasi teatrale -- i personaggi che parlcmo senza farsi «raccontare» -- non vi siete mai accorti ascoltando bene Absolutely Free che tutto è giocato in chiave di operetta moderna, smidollata e provocatoria, senza più l'irritante monologo del «cantante» ?) Zappa riesce a convincere e a rendere speziata la sua «letterarietà» -- un salvataggio in corner.
Ma infine lasciatemi dire dell'argomento più scottante e più solido, dove Zappa è maestro, e c'è davvero possibilità di qualche svenimento il sesso. Sin da Freak Out!, da quel dialogo cinico e divertentissimo tra Frank e Suzy Creemcheese (la strega della situazione groupie con qualche rimorso) (« Suzy qui siamo tutti molto interessati al tuo sviluppo sessuale» «SCORDATEVELO!») le parole hanno indugiato spesso sul viale dell'orgasmo e della libidine spicciola (per cui tutto quello che è stato detto e visto dopo ha importanza marginale, ad esempio l'incredibile smanacciamento tra moglie e amante a Bologna lo scorso anno, ad esempio qualche fiera dichiarazione come "Le Plasters Casters sono il più meraviglioso esempio della nuova rivoluzione sessuale!» -- spieghiamo per i profani che le Plasters Casters erano due amiche groupies che anziché farsi semplicemente i musicisti provvedevano anche a modellare i peni dei fortunali mediante calco in gesso -- insomma John Mayall doveva essere vecchio e tremante il giorno in cui scrisse «Groupie Girl, sparisci immediatamente!»). Su Absolutely Free, ad esempio, c'e un velocissimo peccalo di lussuria che fece rabbrividire i dirigenti della MGM, e suona più o meno. Ha solo 13 anni ma mi piacerebbe scoparla sul prato della Casa Bianca» (Zappa stesso raccontò a Frank Kofsky, in una celeberrima intervista per Jazz & Pop, che la casa discografica premette a lungo per modificare il verso con il più casto concetto di «Ha solo 13 anni ma sa già fare le parole crociate sul retro delle Guida TV»). E poi non dimentichiamo l'intera orgia dei 200 Motels (ho hum, come mai quel film non è mai stato visto nei nostri sacrosanti circuiti?) e la dotta dissertazione di Penis Dimension e ancora ... ma una volta per tutte, chi crede che sto cercando il pelo nell'uovo della vita zappiana vada a leggersi il lesto di Dinah Moe Humm sul penultimo LP e poi mi venga a parlare: ah, che terribile narrazione alla De Sade, che furore serissimo nel descrivere un amplesso venuto male e uno sorprendentemente riuscito!
Qui riesco veramente a divertirmi con Frank Zappa e gli concedo l'onore delle armi, anche immaginando le sgomento altrui: ma con il resto, con il museo delle cere della sottoborghesia californiana posso solo rimpiangere crudamente i vecchi sogghigni Fugs, e tutte le spruzzale di veleno che vengono dall'antica stagione amerikana.
Si fu un equivoco un giorno, un'illusione sciocca (e anche l'ombra inevitabile di un tradimento, dopo). E cioè che Frank Zappa fosse un «rivoluzionario» alla nostra maniera (con le luci e le ombre che noi vogliamo, intendo dire) e che quelle sue frecce contro Zio Sam fossero il preludio a bottiglie molotov e lingua biforcuta; che insomma fosse lui l'hipsocialista tanto atteso, il profeta dell'epoca di Jerry Rubin. Accadde dunque che una volta abbandonati scherzi triviali e parole velenose (non era stato forse lui a interessarsi di un «nuovo modo di gestire il potere», ad affermare senza indecisioni che «gettar merda sull'America d'oggi è una necessità»?), una volta salito sul cocchio della musica, tutti ammutolirono, lamentando tradimenti e l'«inevitabile imborghesimento».
Ma era davvero così? E quel suono tanto beffardo quanto inquietante non era forse l'esemplificazione pratica di quella «diversità» da sempre predicala, da sempre messa in piazza? Frank Zappa non è un rivoluzionario. E forse non è nemmeno un «ribelle» (un radicale) per usare la distinzione ch'era solito fare Ginsberg. E certo non è cambiato, in questo senso, dall'ieri all'oggi: è un acido musicista, invece, un signore che ha sempre cercato la tempesta creativa più che inseguire sconquassi sociali. Ed è inutile arrabbiarsi, inutile mordere il cielo e correr dietro ai «perché no»: dato che l'uomo è questo e tutto il resto è stato un gioco di specchi, il nostro VOLER vedere quello che in effetti era molto più sottile (come cerio non capirono i tedeschi nel 1968 di fuoco quando accolsero Zappa con giganteschi striscioni di Mothers of Invention = Mothers of Reaction) (mi ricordo che una volta Jerry Garcia disse «Non capisco perché tutte le volte che tengo un concerto c'è sempre qualcuno che sale in cima al palco e comincia a parlar del governo e dei poliziotti e altre cose del genere. Hey, uomo qui si fa della musica, non della politica! ». Un po' la stessa cosa che mi ha narrato Zappa stesso, disteso mollemente su un divano del più lussuoso hotel di Bologna «Non credo davvero che il risvolto sociologico della musica sia importante ...»). Chiacchere allucinate di genie che non ha mai compreso il senso vero del fare arte, e dunque del far politica, la realtà di un impegno che è cambiare la società e non strofinare lucidi strumenti.
Ma bisogna essere americani sino in fondo per capir tutto questo: perché solo così si può concepire una musica tanto geniale con l'assoluto rispetto del professionismo e dei suoi mili, perché solo così è possibile non sentir stridere i gesti di un freak che nemmeno vuol essere chiamato così con i fatti e gli avvenimenti di una vita assolutamente normale. Parole vane, certamente: lo stesso artista che anni fa ci ha insegnato a scorgere la vita dal buco della serratura della musica ci chiede ora (come sempre ci ha domandato!) di lasciar perdere il suono e di viaggiare mollemente appesi al divertimento...
Washington, un giorno dell'estate 1990. Limousines luccicanti e migliaia di bandierine americane. Folla festante. Un balcone della Casa Bianca e il Presidente che esce. Cilindro: cravatta di seta. Sciarpa bianca e una stranissima chitarra in mano. Frank Zappa saluta la folla. Richard Nixon da pace uscito di galera dopo Watergate gli ha appena mandato un telegramma di felicitazioni; la banda suona Willie The Pimp, migliaia di bambini sciamano con magliette tappezzate di Coca Cola.
Intanto, in fondo a destra, sul tetto del solito grattacielo della solita America, Captain Beefheart si appresta a sparare con un vecchio Winchester ... ).