W Zappa

By G.F.

Super Sound, February 5, 1973


Che Frank Zappa stia attraversando un periodo di radicali trasformazioni è assolutamente indubbio. Ciò che colpisce maggiormente l'attento ascoltatore, però, è l'intelligenza con cui ora egli si sappia ricollegare ai discorsi musicali affrontati, svolti e risvolti nei lavori precedenti. Talvolta sue semplici annotazioni, a prima vista banali o addirittura stridenti in un contesto generale, rivelano in ultima analisi la loro natura di riferimenti a temi precedenti, quasi fossero testimonianze attive di un mondo passato in un altro di aspetto assai diverso. Zappa, la mente più delirante della nuova musica americana, il più grande re beffeggiante e burlone della musica della sua generazione, che dall'alto della sua corte deride con amara ironia l'America intera e con essa tutta la sua «civiltà», sembrava ultimamente aver dimenticato nei suoi dischi quella carica di diabolico sarcasmo che esprimeva la sua piena potenzialità attraverso i fantastici personaggi usciti dai contorti meandri del suo cervello. Ed ecco ora riesplodere nuovamente questa mente in quella che può essere definita una delle più grandi follie mai escogitate da persona umana: la fantastica leggenda del «Grand Wazoo» che da il titolo al disco.

Il gruppo che accompagna Zappa, in questa favolosa escursione attraverso esperienze sonore mai esplorate finora, è composto da 21 musicisti veramente eccezionali, per lo più sconosciuti, e si è già esibito a Londra tempo fa con Zappa in una piccola serie di concerti ad altissimo livello. Tra i componenti ricordiamo Sal Marquez ai fiati. Erroneous al basso, l'incredibile George Duke alle tastiere ed alcuni altri, che già ebbero posti di primissimo piano nel precedente «Waka Jawaka». Poi Don Preston e Tony Ortega.

Gli altri sono in linea di massima degli illustri sconosciuti che, però, mostrano una perfetta integrazione nel folle mondo di Zappa, quasi avessero già da lungo tempo suonato per lui e con lui. Questa orchestra (composta in gran parte da ottoni e da vari strumenti a fiato e a percussione) non solo si rivela all'altezza delle difficili ed eccitanti composizioni di questo disco, ma, anzi, traduce tanto fedelmente il senso musicale che Zappa intende dare al disco stesso, che risulta assai difficile pensare alla stessa musica interpretata da strumentisti diversi, in diverso modo.

Perché ascoltando il disco si ha subito l'impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di assoluto e di perfettamente equilibrato; in effetti la musica di Zappa è sempre stata eseguita da gente perfetta, non solo da un punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto da un punto di vista di sensibilità e in questa musica la sensibilità interpretativa assume un significato assai più esteso del normale, ed occupa uno spazio molto ampio.

Ma esaminiamo il contenuto del disco. Sarà meglio fare subito una netta distinzione tra ciò che sperimenta LA PRIMA facciata e ciò che rivela la seconda; ho usato apposta questi due termini diversi per meglio chiarificare in cosa consista la profonda differenza fra i due lati del long playing.

Intendo dire che, mentre la prima parte del disco presenta una visione completamente rinnovata del mondo musicale di Zappa, trasfigurandone sottilmente gli schemi e le idee basilari, la seconda rappresenta un ritorno a contenuti più tradizionalmente zappiani, pur avendone, tuttavia, travolto gli aspetti formali. Bisogna comunque dire che questo «Grand Wazoo», rappresenta un unicum nella produzione di Frank Zappa, specie se ne si consi considerano gli schemi tecnici.

La prima facciata del disco, dunque, si apre con un brano di media lunghezza: For Calvin (and his next two hitch-hikers). Questo da subito rilievo alla sezione degli ottoni ed offre, nella sua struttura, l'interpretazione politematica cosi caratteristica del lavoro zappiano; dopo un breve tratto cantato (è da porre in evidenza la quasi totale mancanza nel disco di parti vocali, chiaro sintomo di un'avvenuta presa di posizione verso una ricerca esclusivamente sonora, strumentale) l'orchestrazione prende corpo e spazia, nel frenetico, evolversi di temi differenti, mettendo in evidenza i fiati con schemi jazzistici (ottimo il lavoro qui svolto dalla tromba di Marquez) e le percussioni, studiate quest'ultime assai accuratamente. Da notare, qui, un ottimo uso del Moog ed un attenta ricerca del suono, specie nel finale.

Il brano che segue, e che dà il titolo al long-playing, pur mantenendo immutata la linea orchestrale del precedente, svolge con maggior consistenza ritmica un discorso assai logico, diremmo quasi ovvio, giacché manca quasi del tutto la pluritematicità e la poliritmia che avevano caratterizzato il brano di cui sopra. Questa ricerca di una pienezza ritmica vede impegnati basso e percussioni in un'opera di avvicendamento che ricorda da vicino certe esperienze precedenti, quali «Chunga's Revenge» o addirittura «Hot Rats». Il buon lavoro di sottofondo da parte delle chitarre (Zappa e Duran) fa spicco nella ritmica scontata; risulta particolarmente buona l'idea di accoppiare assoli piuttosto liberi e frammentari al metodismo ritmico. Complessivamente un pezzo notevole anche se, forse, un po' troppo tirato per le lunghe.

La seconda facciata, invece, si caratterizza, come già detto, per i frequenti richiami alle esperienze precedenti; il primo brano, alquanto corto, ripropone il gusto zappiano del grottesco, in special modo nel buffo accompagnamento vocale. Predomina l'elettronica e le tastiere di Duke, come nel brano che segue il quale raggiunge in alcuni momenti toni e modalità epiche. Si nota chiaramente un continuo riallacciarsi alla più recente produzione di Zappa.

L'ultimo brano è forse il più interessante, senz'altro il più zappiano. Un'atmosfera pacata permea di se tutto il brano, il cui tema principale ricorda molto da vicino certe composizioni e certi schemi, certo fra i più felici che Zappa abbia mai concepito: voglio riferirmi ad esempio a «Twenty small cigars» di Chunga's Revenge. Echi ed invenzioni elettroniche rendono caldo l'ambiente in cui assai spesso si sviluppano riferimenti al jazz, specie grazie all'uso delle chitarre (ottima la ritmica di Duran) e del basso.

Nel finale l'atmosfera degenera, trasformandosi e disperdendosi in dissolvenza. Questo è il disco. E Zappa? Zappa fa la parte del leone, e predomina con la sua presenza nell'intero panorama musicale offerto dal disco. Egli, col suo graffiante ma raffinato chitarrismo, con le sue idee, guida magistralmente tutti gli altri musicisti.

Ed è anche per questo che si raccomanda un attento ascolto di questo «Grand Wazoo» e se ne consiglia l'acquisto immediato, non appena esso sarà reperibile.

La musica espressa in questo disco piacerà senz'altro anche ad un pubblico inesperto, ma farà indubbia mente la gioia dei profondi conoscitori di Zappa. La copertina è prettamente zappiana: ritrae una scena di una battaglia fra due eserciti musicali; ma a questo proposito è utile esaminare la assurda «leggenda» contenuta nell'interno del disco; lo spunto per questa nuova favola del cantastorie Zappa parte proprio da un vecchio personaggio zappiano: Uncle Meat; il vecchio «zio carne» intento a lavorare nel suo pazzo laboratorio intorno all'invenzione di una «infernale» macchina, viene per errore trasportato indietro nel tempo, in uno scenario da «antica Roma», in un impero governato da un esilarante imperatore: Cletus Awreetus Awrightus che con un «folle» esercito di musicisti com batte ogni lunedì, ciclopiche battaglie a colpi di chitarre, trombe, tamburi, canzoni e ballate contro un altrettanto divertente esercito: i mediocrates of pedestrium (M.O.P.) composto da cantanti e ballerine che cantano in tutte le tonalità, naturalmente Cletus guida l'assalto del suo esercito suonando il «mistery horn» (strano sax gigante) e i risultati della battaglia settimanale vengo no trascrittu sottoforma di punteggi su apposite lavagne.

La grottesca leggenda passa poi a descrivere il regno di Cletus infestato da una setta di fanatici antimusicali che vivono e praticano il loro culto nelle catacombe. I Questions catturati vengono sacrificati, durante i festival popolari, in arene gremite di spettatori, dove coloro che non si convertono vengono divorati, da orribili mostri informali, tra il diletto del pubblico e il suono di una buffonesca orchestra.

Le allegorie della fantastica leggenda proseguono nel racconto della vita privata dell'imperatore, circondato da decine di ironici personaggi che simbolizzano tutto il marcio della società contra cui ancora una volta con una satira graffiante si scaglia Zappa.

Il disco in ogni suo aspetto è studiato alla perfezione. Soprattutto l'irreprensibile incisione offre la possibilità di un ascolto perfetto in ogni senso. The Grand Wazoo rappresenta a tutti i livelli uno dei massimi punti d'arrivo non solo della musica di Zappa, ma anche di quella di questi ultim i anni, in senso generale.

G. F.