A tavola con Zappa

By Dario Salvatori

Ciao 2001, September 16, 1973


UN NOSTRO COLLABORATORE E' RIUSCITO AD AVVICINARE « FRANCIS VINCENT » ZAPPA. ECCO LE SUE DIVERTENTI E AL TEMPO STESSO AMARE CONSIDERAZIONI SUGLI AVVENIMENTI CHE HANNO CARATTERIZZATO LA BREVE TOURNÉE ITALIANA DEL MUSICISTA.

V i giuro che ascoltare in una settimana una volta Sun Ra e due volte Frank Zappa mi ha portato un certo deperimento organico. Pensate: due musicisti che volevo ascoltare da sei o sette anni, e che invece riesco ad ascoltare insieme, addirittura in cinque giorni.

Per seguire meglio la tournée italiana di Zappa sono anche andato a Bologna, prima tappa del suo giro.

Arrivo al ristorante dove vi era una specie di conferenza stampa all'ultimo momento; dopo un susseguirsi di appostamenti, di gente che parlava, urlava, si alzava in piedi, si sedeva e faceva un gran baccano, riesco finalmente a sedermi e mi trovo faccia a faccia con Frank Zappa. Per i primi dieci secondi non riesco a guardarlo. Poi scopro che ha un volto mobilissimo, che non è affatto brutto (è solo un po' cupo) che è contorniato da due fantastiche ragazze, di cui una è Gail, la moglie, l'altra è una recente fidanzata. Lui si diverte prima con una poi con l'altra, fra lo stupore e l'imbarazzo dei presenti. Ad un certo punto Zappa ha un'idea meravigliosa. Prende la saliera e versa un po' del contenuto sulla spalla nuda della ragazza, poi prende del burro (tanto tutti sanno ormai che il burro non serve più per condire gli spaghetti) e lo spalma sopra la spalla insucchiottando tutto voracemente con tanto di contorno rumoroso.

Nel frattempo un paio di microfoni sono puntati verso di lui per ascoltare le risposte alle domande più vuote del mondo. Zappa si stava divertendo un mondo ma tutti dovevano fare le domande, l'incubo e l'angoscia dell'intervista erano più presenti che mai. I suoi responsabili discografici italiani hanno passato un'intera sera a urlare: « Fate domande! Fate domande! ». Già, perché a loro serve qualcuno che riesca a mantenere viva una conversazione, una riunione. La libidine di chi è in grado di soddisfarsi con le parole è proprio questa. Il musicista deve parlare con noi (che siamo tutti dei gran parlatori), deve soddisfare la nostra continua sete cii notizie. Poi magari, se ha ancora qualche energia allora può anche suonare. In genere questo è il rapporto che sussiste fra critica e musicisti.

Sinceramente non avevo nessuna voglia di parlare con Zappa, non mi andava di fargli domande; in quel momento mi bastava guardarlo, guardare le sue donne, i suoi movimenti, i suoi musicisti. E' chiaro che vivendo insieme con un musicista, anche solo per un giorno, certi valori scattano fuori da soli, non c'è nessun bisogno di chiamare « intervista », qualcosa che viene fuori spontaneamente. Messo davanti a quest'impellenza sono riuscito a sapere che Zappa non voleva suonare con Beefheart, che è geloso, che considera « Lumpy gravy » il suo miglior disco, che non vede Suzy Creemchease da molto tempo e che beve molti caffè. Sinceramente non me ne importa nulla.

La sera a Bologna, allo stadio Comunale, il suo concerto è uno sballo. Presenta i suoi musicisti, attacca uno di quei suoi tipici e incomprensibili discorsetti e poi musica. Roba da farti rivoltare. Quello che mi impressiona di più sono i suoi continui cambiamenti di tempo. Salta in aria, (ma non come fanno per esempio i nostri musicisti e quelli inglesi, per chiudere un'esecuzione) lo fa per cambiare tempo. Quando scende a terra il tempo è già cambiato.

Tutti i suoi musicisti leggono musica con grande professionismo (proprio con questo sistema sono stati scelti), ma Zappa non vuole partiture sul palcoscenico. L'unica a cui è permesso leggere sul palco è Ruth Underwood, moglie bellissima di Ian Underwood e vibrafonista eccelsa di Frank Zappa. Jean-Luc Ponty era l'asso della formazione. Com'è noto Ponty è un grosso musicista, ma molto spesso è eccessivamente « leccato », prezioso, un tantino freddo. Forse meglio avrebbe fatto Don Sugarcane Harris, altro vecchio collaboratore. Forse la scelta è caduta su Ponty pervia della maggior preparazione tecnica, dato che Zappa pretendeva che i suoi musicisti imparassero a memoria la parte. George Duke è un musicista fra quelli più vivi di oggi. Usa il piano come uno strumento il percussione ed ha uno swing da capogiro. Peccato che abbia usato poco il piano acustico e troppo quello elettrico.

Su Zappa c'è ben poco da dire. E' soprattutto un grande arrangiatore. Quando dirige è uno spettacolo a sé.

A Roma è andato meglio Ponty, che evidentemente soffriva di problemi di rodaggio, mentre assolutamente superlativo è apparso ancora una volta Duke.

Bello il pubblico, bella la gente che applaudiva. Considerazione: un concerto come quello di Zappa, a farlo d'inverno, avrebbe raddoppiato il numero della gente. La data sbagliata non ha comunque dato fastidio alla musica del più grosso personaggio della scena attuale.

Dario Salvatori