Frank Zappa sublime li sogghigno

By Manuel Insolera

Ciao 2001, April 21, 1974


Sconvolgente ... folle ... genio scardinatore ... alchimista del bizzarro ... : questi sono soltanto alcuni tra i più caratteristici epiteti con cui da sempre la stampa « galattica » (e molto spesso anch'io) ha gratificato Frank Zappa, che, in ogni caso, genio lo è davvero, forse l'unico esponente emerso dal mondo della musica rock a potersi realmente fregiare di questo titolo nel senso più letterale e universalizzante del termine.

Ma ormai, dobbiamo tutti cominciare a riconoscerlo, l'epoca pionieristica delle logorree galattiche ha fatto il suo tempo: la musica pop si è evoluta ed ampliata, e cosi si sente il bisogno di una saggistica sul rock che rinunci a certi superficiali formalismi descrittivi per farsi più concreta, adulta, scientifica in senso strutturalista, attenta al rapporto dialettico che inevitabilmente sussiste (in senso positivo, e più spesso, in senso negativo) tra musica e aspetti culturali, storici, sociali e soprattutto politici che sempre la determinano. Cosi oggi, a mio parere (ed è una critica che rivolgo ampiamente anche a me stesso) non basta più definire un certo disco o un certo musicista « stratosferico » oppure delirare su presunte « vibrazioni cosmiche », eppoi chiudere soddisfatti il discorso, pensando di avere con queste retoriche frasi espresso tutto l'esprimibile e oltre.

Intendiamoci: frasi di questo genere possono anche andare bene, ma solo nel caso che non rimandino incessantemente a sé stesse (col risultato di non aver detto, in realtà, nulla): troppi saggi su artisti pop sembrano. a prima vista, dei confusi trattatelli esoterici, dei manualetti di astronomia o, nel migliore dei casi. delle audaci interpretazioni dell'Apocalisse di S. Giovanni.

Ho approfittato di Zappa per aprire questa polemica, perché il poveretto, insieme a Captain Beefheart e ai Jefterson Airplane, e forse tra le vittime più costanti delle forsennate esercitazioni linguistico-stellar della saggistica « galattica »: e proprio questa polemica può servire da introduzione per aprire un discorso più ponderato e, possibilmente, più approfondito, sulla figura zappiana, alla luce del suo nuovo album, « Apostrophe », pubblicato tempestivamente in questi giorni anche qui da noi. Naturalmente, non saranno senz'altro le poche cartelle di questo servizio a poter fare piena luce sull'intricata matassa, sulla complessa simbologia, sulla smagliante bellezza dell'opera zappiana nel suo insieme, ma cercheremo per lo meno di fornire alcune considerazioni che possano iniziare a districare la sua figura dalle orbite stellari e a riportarla sulla Terra per restituirle la dimensione umana, storica, artistica e politica che realmente dovrebbe competerle.

Punto primo: Zappa non è un folle. Dall'attento esame della sua opera si nota come essa sia programmata fino al millesimo, sia nell'ambito di un disegno generale (per usare una espressione dello stesso Zappa, tutta la sua opera potrebbe costituire un unico coerente superdisco) sia nell'ambito della strutturazione molecolare di ogni sua singola parte. Addirittura di ogni singola variazione di suono nell'ambito di uno stesso brano. Anche i concerti dal vivo, anche le parti di essi più travolgenti, che sembrano in tutto e per tutto delle improvvisazioni, sono in realtà state provate suono per suono per ore e ore, e sono ferreamente dirette dai mille segnali autoritari del geniale leader. Per cui, tutto il bagaglio di apparente follia o comunque di illogicità presente massicciamente nell'opera zappiana, e stato in realtà puntigliosamente preordinato a tavolino da una mente corrosiva si, feroce si, ma assolutamente non folle, anzi perfettamente, furbescamente logica. Abbiamo perso un folle, ma abbiamo acquistato un artista geniale, un saggio amministratore della propria follia.

Punto secondo: Zappa è un furbo di tre cotte. Ovvero, egli non e affatto un « principe straccione », un « santone freak » e altre amenità del genere, che ormai si sono sentite fin troppo. Anche qui. Zappa ha invece calcolato al millimetro il pubblico al quale si sarebbe rivolto, ed ha studiato e programmato a tavolino l'immagine di sé stesso che più avrebbe interpretato gli archetipi psicologici graditi a tale tipo di pubblico (di qui l'accentuazione di un aspetto « repellente » nei suoi primi tempi, ossia la figurazione parossistica del freak drogato e dedito esclusivamente al sesso e altre « cose orribili » che sconvolge e terroriza la paciosa borghesia). Cosi, come aveva previsto, Zappa è diventato un « idolo freak », riuscendo man mano a fare accettare a questo pubblico la complessità della sua musica. Una volta impostosi tra i freaks, anche il mondo borghese ha cominciato a fare attenzione alla sua figura iconoclasta, considerandolo come un simbolo conturbante della gioventù ribelle. Una volta ottenuta questa attenzione. Zappa ha posto fine alla sua fase « repellente » lasciando che la bizzarria rimanesse soltanto come fatto formale, e ha fatto dischi che potessero appunto essere compresi anche dai borghesi, pur restando dei capolavori. La prima fase freak era dunque stata quella di « Freak out! », di « Lumpy Gravy », di « Absolutely free »; la seconda fase borghese, ma che ha continuato ad essere accettata pienamente anche dai freaks grazie alla presenza di una iconoclastia ormai ridotta, però. soltanto ad apparenze formali. è stata quella di « Uncle meat », « Hot rats », «Burnt weeny sandwich », «200 Motels », « Grand Wazoo ». E oggi, a ben guardare, Zappa ha iniziato la sua terza fase: conquistata abilmente (si può dire che i mass media di Zappa siano ... egli stesso!) la meritata patente di genio sia dal mondo freak che dal mondo borghese della cultura tradizionale. Zappa cerca ora, a coronamento del tutto, il successo commerciale, vale a dire il favore di tutto il pubblico potenziale di acquirenti di dischi, specializzati o meno: ed ecco, costruiti nel modo più adatto per raggiungere questo scopo, i due ultimi « Over-nite sensation » e « Apostrophe (parlando di quest'ultimo, tra poco, ne esamineremo piu attentamente le caratteristiche). Dopo essersi dunque pazientemente coperto le spalle conquistandosi il favore dei media della controcultura e della cul tura. Zappa parte dunque oggi all'assalto del grosso pubblico, in vista dell'ultima meta del suo progetto: l'affermazione totale di sé stesso, del suo genio, della sua arte, un posto sicuro tra le figure di primo piano dell'arte del ventesimo secolo nei futuri libri di storia.

Per questo, mi sembra che la sua furbizia calcolatrice non possa essere condannabile, poiché la sua stessa sottile lungimiranza è prova di genialità: ancora una volta, ahbiamo perso un «re straccione freak ma abbiamo acquistato un genio. E per questa volta, mi sembra che possa bastare, an che se le cose da dire sono ancora moltissime, troppe per un solo articolo. Quel che mi premeva dimostrare è che non c'è bisogno di gratuiti epiteti galattici per dimostrare che Zappa è un genio: nei due pun ti sopra enunciati, anzi, non si è fatto altro che distruggere il mito di Zappa (ho detto, in so stanza, che egli ha preso in gi ro tutti quanti, dai freaks ai borghesi ai consumatori), ma proprio dalla distruzione di que sto mito è emersa nuovamen te, in modo netto, la sua ge nialità.

Alla luce di quanto esposto finora, una analisi dell'ultimo « Apostrophe » diventa assai semplice da farsi: è un album costruito per piacere, per farsi vendere, e quindi, come il precedente, e una volgarizzazione e una sintesi di tutti gli aspet ti della policromia zappiana cosi come è andata articolandosi da « Freak out! » a oggi. Dadaismo psichedelico, rock, blues, jazz, elettronica, satira, satira della sztira, testi corrosivi e iconoclasti: non manca nulla. E tutto è offerto in una forma accessibile, ma nello stesso tempo perfetta, rigorosa, bella. Chi dirà che questo disco è troppo commerciale non avrà capito nulla della evoluzione di Zappa, lo stesso, chi dirà che e un capolavoro della avanguardia, dimostrerà di essersi accorto di Zappa soltanto ora.

In realta, « Apostrophe » e un disco genialmente costruito in modo da avere i caratteri tipici di un disco commerciale pur preservando intatta lessenza del messaggio artistico zap piano. In poche parole, mi sembra un disco incriticabile, costruito apposta per essere incriticabile. E cosi, Zappa ci ha presi in giro ancora una volta: « Apostrophe » non ha senz'altro la immensa portata di un « Freak out! », di un «Hot rats » o di un « Grand Wazoo , però per conoscere realmente Zappa è importante esattamente allo stesso modo di questi. E' un controsenso? Non ditelo a me, ma a LUI, è lui che ha fatto in modo che le cose stiano cosi, e lui che con un betfardo sogghigno ci ha incastrati ancora una volta!

Manuel Insolera