Zappa-Boom

By Maria Laura G. Giulietti

Ciao 2001, February 6, 1977


Intervista New Yorkese con Frank Zappa il quale, moglie, armi e bagagli, ha lasciato l'assolata California per recarsi nell'est. Una serie di concerti e la sua smania di stupire.

NEW YORK

Frank Zappa non ha bisogno di presentazioni, non ha bisogno di annunci, non ha bisogno di appoggi. Il suo passato musicale documenta senza altre parole l'attività frenetica e convincente, il presente stimola l'energia che è possibile rincontrare ancora tra i suoi dischi, il futuro si intuisce affascinante e preciso, dai contorni già visibili.

Eppure Frank Zappa ancora oggi non disdegna le presentazioni, gli annunci, gli appoggi. A New York, durante i giorni che precedevano i concerti al Palladium Theatre, è stato visto girare, intrufolarsi, far confusione, ridere e contorcendosi alla televisione, a diverse radio locali, a numerose conferenze stampa. Gli ho chiesto se non ne aveva abbastanza. Ha risposto che non ne avrà mai abbastanza, aggiungendo: « Almeno fin quando questi testoni del nord mi saranno utili...! ». E' noto, infatti, che Frank Zappa vive in California, fuori Los Angeles. Chi crede che quella fosse una battuta sbaglia di grosso, è quello che realmente passava per la testa a Zappa.

Magro, alto, dinoccolato, il volto in uno sgorbio arcigno, i baffoni e una gigantesca « mosca » sul mento, si è lasciato invitare a decine di parties assieme alla moglie Gail, dormendo una media di due ore a notte. E il suo lavoro più impegnativo era quello di stupire.

« Perché hai messo nel dimenticatoio le Mothers Of Invention? ».

« Perché sono un egocentrico folle?! ».

« ?! ».

« No, scusa, perché il mio mestiere è quello di talentscout. Molti credono che io sia un autore, un musicista... tutte balle! lo sono uno scopritore di talenti: lascio aperte le porte del mio complesso per permettere a tutti di fare la propria fortuna. C'è gente che mi chiede di suonare per una sola notte e vedersi aumentare il cachet del cinquanta per cento! Mica scherzo! ».

Il giornalista ripone la penna nell'agenda e se ne va sconsolato. Chissà come riempirà le pagine del proprio servizio. Frank è soddisfatto.

Non sempre è in vena di follie e lo dimostra con la sua prepotente immagine di uomo d'affari. Pochi musicisti sono preparati ed agguerriti come Zappa: vuole sapere tutto, percentuali, vendite, promozioni, incassi, non perde una cifra. E fa bene. In un mondo discograflco come quello americano (e non solo americano) c'è poco da scherzare. Tant'è vero che oggi Zappa ha questioni legali con il suo ex manager Herb Cohen, sembra che quest'ultimo gli debba un bel po' di dollari.

Oggi Frank Zappa è felice di aver messo su un bel gruppo e, soprattutto, di aver cancellato un peso gravoso come quello delle Mothers Of Invention. Dice: « Sono dei grandi musicisti, con menti fresche ed intuitive. Ho smesso di pensare alle Mothers quando il pubblico non chiamava più i nomi di Jimmy Carl Black o Eddie & Flo ... se non interessava più a loro, figurati a me! ».

Il gruppo ora è formato da Terry Bozzio alla batteria, Ray White alla chitarra, Patrick O'Hearn al basso e Eddie Jobson al violino.

 Di loro Zappa dice: « Sono giovani e spesso mi piace ascoltarli parlare e mi sembra di tornare indietro di anni. Fosse per me suonerei con ragazzi di quindici anni, hanno un tale vigore. Oggi molti musicisti della mia età sono disillusi, annoiati, paranoici, stufi di avere montagne di dolfari e disperati di non averne fatti abbastanza. A me questo non può succedere ... cerco di essere lontano da loro e amo coloro che ancora non si sono arresi. E poi amo la musica, da impazzire: ho almeno 2.000 registrazioni, una per concerto, tutte catalogate per bene a casa mia e presto dovrò creare una nuova sala. Molte cose risalgono addirittura al 1958.

Per esempio ho il nastro fatto da me, Beefheart e il mio fratellino più piccolo, credo che sia stata la prima volta che Beefheart si è messo a cantare. Ohhh, farò uscire tutto questo materiale, ma ci vuole un mucchio di tempo a disposizione ed io ne ho sempre di meno. In realtà amo la composizione, sono estremamente prolifico e stare ore ed ore a scrivere, arrangiare, limare ... Ad esempio registrerò questi concerti al Palladium e vedrò se il materiale è buono di tirarne fuori qualcosa, magari usando qualche turno di registrazione per certe sovraincisioni. Insomma non smetterei un attimo ... ».

E se a New York si parla di crisi Frank Zappa si scusa e si toglie di scena perché, a lui, ha detto sempre bene, o quasi, o almeno non si è mai lasciato impressionare dagli avvenimenti esterni, cercando in continuazione di dare il meglio di se stesso senza false credenziali: ama dire che ascolta Beatles, blues e Edgar Varèse, quindi, nei suoi dischi, si concede volentieri al rock'n'roll scanzonato, agli arrangiamenti più complessi e fini, al rhythm' n'blues più gagliardo. Non è poco. Specie se teniamo conto che parecchie stars non sanno nemmeno accordare la chitarra.

 MA VENIAMO AL CONCERTI ...

Palladium Theatre: pieno zeppo che si fatica a respirare. Se vogliamo essere cattivi diciamo pure che in giro ci sono pochissimi concerti e la gente vuole ascoltare musica, se, invece, rispettiamo le regole dobbiamo dare atto a Zappa che il suo nome richiama moltissimo.

Perché Palladium? abbiamo chiesto. E Zappa risponde: « Verso il 1967 ero a New York e suonavo ocme un matto. Ero al Garrick Theatre e facevo sempre gli esauriti, anche se, allora, parecchi boicottavano me e la mia musica. Dicevano di non capirci niente e a me faceva piacere, ho sempre pensato che il tanto successo significa valere poco e per troppo poco tempo. Facevamo due concerti al giorno e ci venivano a vedere in parecchi, nonostante tutto. Ecco, io ho voluto riproporre a quelli che mi seguivano in quel periodo le stesse emozioni, naturalmente filtrate dal tempo e dalle crescite di entrambi ... ».

Il gruppo funziona egregiamente e Zappa sembra divertirsi un mucchio: sorride a destra e sinistra, ammicca sugli assoli, fa sberleffi e digrigna i denti: ama suonare e si vede lontano un miglio.

TTerry Bozzio è una vera fucina di simpatia ed intelligenza: canta e si muove in continuazione. Eddie Jobson è completamente diverso da quando militava nei Roxy Music, diversi suoi assoli hanno alzato da terra il pubblico presente. Pat O'Hearn è un bassista « muscoloso », come lo stesso Zappa ama definire, e sostiene tutta la band con spunti intelligentissimi. Ray White ha il duro compito di « duellare » alla chitarra con Zappa e ci riesce degnamente, lanciando furbe occhiate al leader, il quale improvvisa a tutto spiano mettendo anche un piede nell'elettronica. Infine ia sezione dei fiati: impeccabile, inventiva, fragorosa (inteso nel senso di pienezza); riconosciamo gli immancabili fratelli Brecker e Dave Sanborn [Dave Samuels] (il quale, al termine, ci racconta che ha terminato di 'incidere il nuovo album come solista, girando col suo sassofono come fosse un figlio). C'è anche un'apparizione eccezionale di Ruth Underwood, di passaggio a New York, la quale duetta con Jobson e coinvolge tutti in un battere di mani generale.

I brani, a parte molto materiale inedito, sono riconosciuti immediatamente: la vecchia « Peaches En Regalia », « Sulphide Number Two » [Black Page #2], « Blue Lagoon », « Black Napkins ». Delle nuove ricordo « Punky's Whips » e « I Promise Not To Come In Your Mouth » (chi conosce l'inglese valuterà da solo il contenuto lirico?!!).

Alla fine del concerto Frank Zappa era felice del successo e dello spettacolo offerto anche dai suoi collaboratori. Era partito con un lungo elenco di complimenti e buffe manovre per dichiararsi soddisfatto, poi è stato « agguantato » da un suo vecchio amico che lo ha intrappolato con un discorso sulla produzione dei Grand Funk e i due non l'hanno più finita. « Perché l'hai fatto? » chiedeva uno. « Perché l'ho fatto! » rispondeva l'altro. « Che c'hai guadagnato? » controbbatteva il primo. « C'ho guadagnato! » continuava il secondo. Così è andata a finire che Frank Zappa ha fatto sapere che aveva intenzione di produrre anche i Black Sabbath e che era già stato contattato per il lavoro, solo che ancora non sapeva quando iniziare.

Insomma, solo la notte inoltrata (ma perché non dire il mattino?) e il freddo terribile hanno concluso la serata newyorkese di Frank Zappa e la sua corte. Fuori nevicava a profusione e per tre giorni non si sarebbe potuto uscire dalle nostre case perché gli spazzaneve non ce la facevano a ripulire le strade, ma, essendo Natale, avevamo i grossi tacchini cucinati a farci compagnia e la tradizione americana, che va rispettata (almeno quando è culinaria).

Maria Laura G. Giulietti