Frank Zappa "Studio Tan"

By Aldo Bagli

Ciao 2001, December 3, 1978


FRANK ZAPPA
Studio Tan
(Discreet)

 Pochi sono i musicisti che nel corso della loro carriera sono riusciti ad andare al di là dello storicamente determinato, della cosiddetta moda del momento, per affermarsi all'interno dell'industriale business, come un qualcosa di autonomo, a sé stante, indipendente dalle esigenze spicciole del mercato discografico. Uno di questi è senza dubbio il baffuto Frank Zappa, artista geniale, in perenne sperimentazione e ricerca. Diciamo la verità: gli album del chitarrista non hanno mai raggiunto cifre di vendite alte, ma hanno da sempre costituito un basilare punto di riferimento per chiunque voglia capire in modo completo le contraddizioni, le tensioni artistiche e sociali, in cui si è dibattuta drammaticamente la musica di questi ultimi due decenni.

La sua personalità artistica infatti è quanto mai complessa e sfugge repentinamente ad ogni precisa identificazione musicale: come lo potremmo definire? Un chitarrista jazz, un musicista rock'n'roll, un grande provocatore? Francamente sono tutte etichette che a Zappa vanno strette, soprattutto perché il musicista stesso nel corso della sua lunga e gloriosa carriera ha fatto di tutto per abbattere barriere musicali (tra leggero ed avanguardia), per fondere gusti diversi (serio e disimpegnato) e tutto sommato per dimostrare che oggi la musica stessa necessita di una nuova rifondazione che si basi su delle categorie analitiche capaci di penetrare la nuova realtà storica in cui si è venuta a trovare essa stessa; quella appunto di dover mediare esigenze creatrici con necessità ( ! ) commerciali.

Zappa, dopo alcuni album soltanto musicali si presenta oggi con questo « Studio Tan», che lo riporta ai vertici corrosivi dei suoi tempi migliori (quelli delle Mothers of inventions). Nell'incisione infatti vengono fusi, anzi sintetizzati, vari momenti musicali, un amore tutto americano per l'avventura televisiva a lieto fine (sorriso a quarantacinque denti) ed un'innata predisposizione alla satira di costume.

Il lato A, una lunga suite dal nome di « Greggery Peccary », è senza dubbio una delle vette espressive dell'arte zappiana: sorretta da una musica completamente decodificata e spaziante dall'impressionismo al jazz, dal musical all'ermetismo dei contemporanei più prestigiosi, vengono narrate (in modo televisivo) le avventure di un maialino bianco, Greggery Peccary. Non si riesce a capire se il nome dell'eroe sia un riferimento polemico alla grande istituzione americana qual è il famoso e reazionario attore Gregory Peck. La composizione presenta dei momenti di pura genial:tà musicale (la scrittura non è delle più semplici) abbinati ad un testo interessantissimo, ma che purtroppo a noi italiani sfugge in gran parte. Un biasimo alla casa discografica che non lo ha pubblicato insieme al disco.

La facciata B è leggermente più composita. Si apre con « Let me take you to the beach », una splendida sgrammaticalizzazione delle plastificate atmosfere surf e più in generale da « American Graffiti », e continua con due interessanti brani strumentali, che hanno entrambi una complessa articolazione strumentale.