Zappa

By Massimo Bassoli & Guido Harari

Rockstar, July 1982


Su di lui e stato detto tutto, anche troppo. Noi stessi stiamo tra i responsabili. E si che Zappa ha detto a chiare lettere che non ama le parole, le usa solo come «suono» da composizione. Non ne ha per niente paura, ed è per questo che dice quello che vuole quando vuole ed a chi vuole. Ci e sembrata la cosa migliore parlare poco e niente di lui, ma mostrare tutto quello che ha fatto e concedergli la tribuna una volta carpita l'ennesima intervista, l'ultima in ordine di tempo, concessa in esclusiva per Rockstar. Del resto su Zappa c'è poco da discutere; va preso per quello che e .... e permetteteci, e un bel prendere .....

UN UOMO SOLO

Frank Zappa è il paradosso enigmatico del rock da quando comparve sulla scena, molte lune fa. È totalmente autosufficiente e non rispetta nessun tipo di istituzione. Dal punto di vista musicale è tanto metodico e preciso quanto prolifico. Condanna tutte le forme di fuga dalla realtà, come la droga per esempio, sebbene la sua prorompenza intellettuale lo ponga, per la morale comune, tra i «diversi». Come si fa infatti a chiamare i propri figli Moon Unit, Dweezil, Ahmet Rodin e Diva rimanendo angosciosamente sobri?! Ha ragione Swift, la razza umana fa ribrezzo e non vale assolutamente la pena sbattersi per loro. Ma è Zappa che lo deve dire e non la maggioranza silenziosa. Ecco perché giorno e notte si avvicendano continuamente e lui non se ne accorge, rinchiuso com'è nel sotterraneo studio che si è costruito sotto casa e che, manco a farlo apposta, si chiama Utility Muffin Research Kitchen.

«Soltanto a quindici anni ho cominciato ad ascoltare la musica perché ai miei genitori non piaceva molto e non avevamo né una radio né un giradischi né niente. Credo che la prima musica che mi è piaciuta sia stata quella araba; non so dove l'ascoltai, ma so che mi entusiasmò. Poi ascoltai una canzone che si chiamava I, dei Velvets su etichetta Red Robin, e Gee, e Sh-boom, Riot in Cell Block Number Nine, e Annie Had a Baby. Per caso sentii quelle cose e mi colpirono molto. Cominciai a scrivere canzoni a vent'anni, forse ventuno, perché tutte le mie composizioni prima di allora erano state orchestrali o musica da camera. Penso che l'idea fondamentale di un compositore debba esser quella di essere fedeli a se stessi e scrivere quello che vuoi. scrivere quello che ti piace, senza preoccuparti che sia accademicamente adatta o che sia destinata a lasciare un segno nella storia oppure no. La cosa che più mi spinge a scrivere qualcosa è che voglio sentirlo.»

Los Angeles - U.S.A. Primavera 1982

Frank Zappa, gettato su un'informe poltronaccia rossa, l'inseparabile stecca di Winston ed un thermos di caffè. Cortese e paziente, strettamente professionale, non incoraggia convenevoli di sorta. Puoi descrivere una tua tipica giornata?

«Oh, di solito mi alzo alle tre del pomeriggio, mangio un piatto di cereali, mando giù una tazza di caffè e mi metto al lavoro fino alle sette-otto del mattino. Per il resto, non esco mai di casa, non vedo nessuno, non vado a nessun party, non ho hobbies, non faccio sport, non faccio nulla di nulla. Di tanto in tanto guardo un film alla TV oppure ascolto musica, vecchi 45 di Rhythm & Blues o musica classica. Se mi concedo una pausa sul lavoro è solo per mangiare qualcosa o per andare al cesso. Perché non vedo nessuno? Perché non amo la gente e buona parte del mio lavoro la svolgo da solo. Quando sono obbligato ad uscire di qui per andare in tournée vedo migliaia e migliaia di persone, ma per il resto del tempo me ne sto qui da solo a lavorare. Le uniche persone che vengono qui lavorano per me: il mio tecnico, la mia segretaria, il mio manager, i musicisti del gruppo, ma non ricevo certo ospiti».

E sempre stato cosi?

«Certo, non ho mai avuto molti amici e non fa nessuna differenza. Di quanti amici hai bisogno se te ne stai sempre chiuso in casa a scrivere musica? Come teenager ero assolutamente anormale, i miei interessi erano agli antipodi a quelli dei miei coetanei. Amare il R&B e la musica contemporanea, tutt'e due allo stesso tempo, era più che sufficiente per fare di chiunque un anormale. Mi piaceva la chimica e adoravo scrivere musica, cose veramente atipiche per un teenager. Quando pensi ad un teenager, ti immagini scorribande in auto e festicciole. Beh, io ho preso la mia patente a 23 anni e quando è scaduta nel '67 non l'ho più rinnovata».

Perché?

«Perché non volevo starmene in fila ad aspettare che un tizio con un Ql di meno 15 giudicasse il mio test».

La stampa continua a definirti «il genio incompreso» o «l'istituzione più preziosa del rock». Queste etichette ti irritano o più semplicemente ti lasciano indifferente?

«Credo che l'unico motivo per cui la gente scrive sul mio conto o mi sbatte in copertina sia per far vendere il giornale, non mi si fa nessun favore. Mi hanno chiamato in mille modi, nessuno dei quali risponde a verità. Non m'interessa render noto il mio privato, sono convinto che la mia immagine pubblica, così com'è confezionata dalla stampa, sia qualcosa in cui il pubblico deve volersi identificare. Non ho nessun controllo al riguardo, ma credo che se la gente sapesse che tipo di persona sono realmente in privato, risulterei cosi noioso che tutti se ne fregherebbero».

Vorresti cambiare tutto questo, questa leggenda vivente da SuperFreak che da tre lustri almeno non ti riesce di scrollarti di dosso?

«No, me ne frego, vedi, per me è una delle realtà cui devi far fronte se lavori nello showbiz. Chiunque tu sia, nessuno fornirà al pubblico informazioni accurate al tuo riguardo e, anche se così fosse, il pubblico non si divertirebbe. Non c'è nulla di eccitante in un tipo che lavora diciotto ore al giorno, ha moglie e quattro figli. Non fa notizia».

Beh, il celebre poster su cui posasti nudo fece...

«Non ho mai posato per quel poster! Quella foto fu scattata per un giornale»

... voglio dire, quel poster, gli spettacoli al Garrick Theatre con le Mothers, a quell'epoca ti rendevi conto del tipo di immagine che deliberatamente avresti creato?

«No, ero semplicemente me stesso, acting natural! Credo che chiunque si avventuri nello showbiz, una volta scoperto il meccanismo in cui sei risucchiato dai media, non ne rimanga molto ben impressionato. Ci vuole del tempo per superare lo choc e certa gente ha una carriera cosi effimera da non avere neppure il tempo d'abituarcisi. Per conto mio, in tutti questi anni ne ho viste di cotte e di crude, perciò lo prendo come uno dei fatti della vita».

In tempi di crisi perché pubblicare una tale valanga di dischi? Come può il pubblico restare al passo con una produzione cosi massiccia?

«Questo non è un buon motivo per non farlo, il prodotto è disponibile sul mercato in qualunque momento il pubblico decida d'acquistarlo e lo rimarrà per diversi anni. Se pubblico un disco, nessuno è tenuto adacquistarlo oggi».

Per un artista che ha sempre dichiarato di scrivere musica per ascoltarla eseguita, è questo un modo per produrre un numero sempre maggiore di «testimonianze» della propria opera?

«In un certo senso ma per farti un esempio, quello che sono riuscito a dare alle stampe è solo la punta di un iceberg rispetto a quel che registro. Negli ultimi tre mesi ho realizzato dieci dischi e ora ne è uscito soltanto uno, uno solo! Specie da quando ho il mio studio qui in casa, registro un sacco di roba».

Il pubblico di Zappa negli ultimi anni ha subito un singolare ricambio generazionale coinciso in particolare col successo di Sheik Yerbouti. Qual è la reazione del pubblico giovane al vecchio repertorio?

«Penso che gran parte del pubblico giovane che ci segue nutra un discreto interesse per i vecchi dischi, almeno a giudicare dalla quantità non indifferente di lettere che chiedono come ottenere certi dischi ormai introvabili. Ora posso dire d'aver finalmente riacquistato i diritti di tutti i dischi a mio nome, tutti tranne 200 Motels. Probabilmente ne rimisserò alcuni che vennero realizzati in piena preistoria e almeno i primi cinque albums che uscirono su Verve verranno ripubblicati in un cofanetto».

Perché buona parte del pubblico snobba i dischi più recenti come inferiori ai veri capolavori del tuo genio, cioè ai dischi con le Mothers?

«Per via della gente che scrive sui giornali. Guarda, a tutti piace far vedere di sapere qualcosa, specie quando non è cosi. Devi tenere ben presente una cosa: gran parte della gente che scrive sui giornali non è affatto qualificata a farlo e questo non vuol dire che io punti un dito accusatore soltanto nei confronti della stampa. Per mia esperienza posso dire che pochissima gente qui in America, in qualunque settore, è qualificata a svolgere il proprio lavoro. Uno dei motivi di tutto ciò è la qualità, sempre più scadente, del sistema educativo americano. Tutto è stato cosi superficialmente democraticizzato che chiunque può prendersi un trenta e lode, anche non studiando. Dunque, non esiste più nessuno standard d'eccellenza.

Ora io credo che quel che faccio sia per molti versi eccellente e alla gente questo no piace perché, è logico, se quello che io faccio è eccellente e quel che fanno gli altri non lo è, e ovviamente gli altri sono la maggioranza, è molto difficile per gli altri ammettere che un tipo che non si droga, che lavora per un sacco di ore ogni giorno, che non va ai party, che non si lascia invischiare in tutta la merda del rock'n'roll business, può effettivamente venirsene fuori con qualcosa di superlativo. Perciò è "in" per molti giornali scrivere che quel che faccio non vale nulla, ma questo li pone in una posizione imbarazzante perché, se quello che faccio non vale davvero nulla, allora perché sarei ancora qui a farlo?

Perché avrei tanto successo? Qualcuno apprezza quel che faccio ed è gente che non lavora nei giornali. Il fatto è che la mia stessa presenza nel business irrita un sacco di gente, perciò mi si deve ridicolizzare in tutti i modi, ma questo è un loro problema. Non ci riusciranno perché i fatti sono i fatti!».

Mai pensato di cambiare paese, clima culturale?

«Be', non ho mai trovato un posto che preferissi all'America, e ho viaggiato parecchio, ho un grande rispetto per le altre culture e ci sono posti meravigliosi in tutto il mondo, ma non è per questo che vivo qui. lo odio Los Angeles. Vivo qui per via del mio business, perché se qualcosa si guasta nello studio posso fare una telefonata e averlo riparato in dieci minuti.

Ci sono altri posti con un clima che mi piace di più e con gente che mi piace di più. Adoro New York e sono sicuro che sarebbe molto stimolante viverci. Qui non c'è cultura, non c'è nessun motivo valido per uscire di casa perché non c'è nulla di reale, è tutto assolutamente finto. Al contrario, a New York il mondo delle arti è estremamente dinamico, ma vivere a New York, avere uno studio cosi elaborato ed una casa cosi grande, mi costerebbe dieci volte di più che in California. Possiedo questa proprietà da un bel po' di anni e l'ho comprata a buon prezzo. Ora il valore è salito e ho apportato diverse modifiche che l'hanno resa comoda e funzionale».

Come vedi la tua musica oggi, altrettanto drastica che in passato?

«Altrettanto drastica? E più drastica! La cosa più drastica che chiunque possa fare è scrivere esattamente quello che pensa e farlo nel miglior modo tecnicamente possibile. Questa è una mossa molto drastica nell'ambito del mercato attuale, perché io non seguo nessuna moda e non modifico nulla della mia musica per uniformarla al gusto dei media e al livello della produzione corrente».

In un'intervista recente hai parlato di «deviazioni concettuali dalla norma». E qualcosa di premeditato?

«No, è quel che faccio automaticamente, non mi pongo obiettivi del genere. lo sono una deviazione dalla norma! La norma negli Stati Uniti è prendere droga e rovinarsi la vita. lo non ne prendo, il che mi pone già al di fuori della norma, e quando parlo di droga, non intendo solo i giovani, ma anche i medici, gli avvocati, i politicanti, tutti. La cultura americana è estremamente saturata dalla droga e questo è evidentissimo nei film che vengono prodotti, nei dischi che sono realizzati, nelle leggi che vengono approvate».

Hai sempre definito la tua musica puro entertainment, ma scritta pur sempre con una penna attenta al sociale. Hai mai pensato di poter cambiare qualcosa con gli strumenti a tua disposizione?

«No, non c'è speranza, ammettiamolo. Se una persona si buca, non è una canzone che cambierà la sua vita. Sei di fronte ad un problema medico che nessun disco può risolvere. Se poi la persona è davvero nella merda e deve scegliere tra comprare un disco o qualcosa da infilarsi nel braccio, comprerà senz'altro qualcosa da infilarsi nel braccio! Perciò non mi illudo di cambiare il mondo con la mia musica, è ridicolo! Come persona che lavora nei media posso ricordare alla gente il mio punto di vista, questo è tutto ciò che posso fare. Non ho nessun potere di cambiare nulla ma uno dei motivi per cui ti dò quest'intervista è perché ho l'opportunità di dire tutto questo molto chiaramente e senza musica dietro».

Allora non è solo entertainment?

«Entertainment è una sensazione piacevole ed io preferisco che qualcuno ricavi sensazioni piacevoli da una musica con un contenuto, piuttosto che da una musica che di contenuti non ne ha, quel che cerco di dire è che per entertainment s'intende comunemente una fuga dalla realtà. Per conto mio, credo che possa essere entertaining affrontare la realtà in modo diverso. La gente che fugge dalla realtà sta trascurando qualcosa e questo è uno dei motivi per cui non amo la droga e la gente che ficca la testa sotto terra. Se vuoi un posto migliore dove vivere e dove far vivere i tuoi figli devi affrontare alcuni fatti reali. Ora io potrei divulgare le mie opinioni in una serie di conferenze, ma la gente finisce per addormentarcisi. Perciò fondo le mie idee a melodie che risultano entertaining, che fanno cantare e battere i piedi alla gente. Ma almeno ci sono delle idee, i dischi contengono delle idee e queste idee, beh, vale la pena di rifletterci sopra per un attimo».

Come arrivano queste idee al pubblico europeo rispetto a quello americano?

«Senz'altro in maniera diversa, innanzitutto in Europa non capiscono quel che dicono i testi, perciò prestano più attenzione alle note mentre in America il pubblico bada più alle parole. Naturalmente esiste una via di mezzo e questa si concretizza probabilmente più spesso in America che in Europa, perché non credo che ci sia molta gente in Europa che conosca lo slang americano presente nelle canzoni e che quindi comprenda i testi. Qualcuno ci ha provato, ma in fondo non fa nessuna differenza.

Se apprezzi la musica, il resto è OK malgrado il tipo di esperienze cui si fa riferimento nei testi sia spesso a dir poco peculiare. Insomma, non è certo la cosa più facile da penetrare al 100% quando la senti ma non è un buon motivo per non godertela. Voglio dire, quanti se ne stanno ad ammirare il tramonto e sanno esattamente perché ha quel colore?»

Le esperienze che racconti nelle tue canzoni, son tutte roba vissuta in prima persona?

«In gran parte si, sono capitate veramente a me o a qualche membro del gruppo».

Perché quest'apoteosi di sesso?

«Che c'è di male? Non c'è alcun motivo per cui non dovrebbe essere cosi, io scrivo di quel che mi piace. Almeno puoi star certo che se scrivo di sesso, scrivo dal punto di vista di chi ne ha una discreta cognizione, mentre se ascolti le canzoni degli altri sull'amore puoi star sicuro che non ne sanno assolutamente nulla. Ho scelto di non scrivere canzoni d'amore perché credo che nessuno sia autorizzato a farlo. Non mi sono mai imbattuto in nessuno sulla faccia di questo pianeta che sapesse cosa sia l'amore, quindi perché scriverci su una canzone? Se decido di fornire delle informazioni in una canzone, deve trattarsi di informazioni valide.

Io sono sposato da quattordici anni, mia moglie ed io siamo ottimi amici ed abbiamo quattro figli, ma faccio di tutto per non tirar fuori la parola "amore" perché finirei per trovarci appiccicato qualche orribile ideale americano fatto di aspirazioni irrealizzabili e di fantasie inesistenti».

Vogliamo parlare delle Grandmothers, il gruppo che vede ricostituto quasi per intero il nucleo delle prime Mothers of lnvention?

«Ho sentito il loro disco e mi pare patetico! Musicalmente, non significa un cazzo ed è un vano tentativo da parte loro di sfruttare il mio nome ed il mio lavoro per guadagnare qualche dollaro, il che mi pare un'impresa disperata. Non credo che siano tecnicamente o artisticamente qualificati a fornire esecuzioni accurate della musica che scrivo e purtroppo è questo l'elemento portante del loro show. Non eseguono neppure delle versioni dignitose delle cose che ho fatto, perciò non mi rendono nessun favore e certo non perpetuano la mia musica. Oltretutto, non mi pagano neppure per avere scritto in primis quel materiale e in scena dicono e fanno cose che ritengo un segno di ingratitudine nei confronti di chi guadagna loro da vivere. Perciò vaffanculo, fuck them!».

Com'è cambiato il rapporto con i tuoi musicisti da allora ad oggi?

«Parecchio, negli ultimi tre-quattr'anni l'unico modo per entrare nel gruppo è superare un'audizione. Di solito provo fino a quaranta musicisti per questo o quel ruolo nel gruppo. All'epoca delle Mothers non era cosi, era più un collettivo di gente che se ne stava insieme e quello era il gruppo. La verità è che quel primo nucleo di musicisti non prendeva nulla sul serio. Odiavano la musica che dovevano suonare. Tutti hanno quest'idea fantastica e romantica delle prime Mothers: be', non potevano fregarsene di più! Per loro era un lavoro come un altro e ricevevano regolarmente una paga settimanale. Ero io a pagarli e fui sempre io a tenerli a galla durante tutto il tempo che il gruppo rimase insieme.

Quando le Mothers si sciolsero, mi ritrovai pieno di debiti fino al collo, ero fuori di 10.000 dollari perché avevo continuato a pagare loro e non me. Avevamo questa formazione a nove elementi che non riusciva a trovare ingaggi e questi tipi vennero a dirmi che era scorretto da parte mia sciogliere il gruppo! Cosa avrei dovuto fare? Dove avrei dovuto procurarmi i soldi per pagarli? Se ne fottevano di venire alle prove e se ci venivano, di certo non prendevano la cosa sul serio.

Oggi è tutto diverso ed ecco come gira veramente la ruota. lo scrivo la musica, io pago i conti, io assumo la gente perché esegua la musica. Dopo che ho scritto la musica sul pentagramma, qualcuno deve suonarla. lo non so suonare tutti gli strumenti. lo garantisco denaro perché della gente si compri una casa per aver suonato le note che ho scritto. Al di là di questo, non ho bisogno di nessun consiglio. Non ho bisogno di nessuna riunione di gabinetto per sapere cosa devo fare. È un rapporto molto semplice: pago della gente perché suoni la mia musica, ma guarda un po' chi è il mio boss.

Il mio boss è il pubblico che conta su di me perché io assuma i migliori musicisti in circolazione e li alleni nel miglior modo possibile ad eseguire la musica in maniera impeccabile e perfettamente rapportata al denaro che il pubblico deve spendere per un disco o per il biglietto d'un concerto. lo sono assunto direttamente dal pubblico che sostiene il mio business e che trae da tutto questo i maggiori benefici».

Musicisti come Tommy Mars. Ray White e lke Willis lavorano ormai stabilmente con te da diversi anni. È dunque in atto una sorta di processo di progressiva distillazione che dovrebbe portare ad un gruppo permanente?

«Ci sto arrivando. Non mi va a genio di trovarmi un gruppo diverso ogni anno poiché sarebbe un lavoro massacrante. Non è come sostituire una dattilografa chiamando un'agenzia di collocamento. In questo gruppo ci sono mille cose che ogni musicista deve memorizzare ed imparare a fare in scena, cose che sono uniche e tipiche di questa band. Se posso evitare di trovarmi a dover ripetere continuamente il solito "corso d'addestramento" basilare, allora è possibile che la musica riesca a progredire e cosi pure i musicisti. Quest'anno la tournée ha la stessa, identica formazione dell'anno passato. Una cosa che non succedeva da anni».

Quanto questo gruppo ti consente di dilatare i tuoi orizzonti creativi? Esistono ancora elementi da precisare o rifinire per arrivare al massimo grado di efficienza?

«Oh, c'è tutta una serie di elementi su cui lavorare ancora perché ogni gruppo ha una sua fisionomia e predisposizione, perciò esistono certe cose che questo gruppo può fare in più rispetto ai precedenti, e viceversa. In altre parole, ho composto una quantità terrificante di materiale e di solito scrivo su misura per un certo tipo di organico. Il gruppo attuale potrebbe facilmente duplicare un album come Roxy & Elsewhere per via della strumentazione assai simile, ma sarebbe assai difficile per questa band fornire una buona performance, diciamo, del Fillmore East o di Just Another Band From L.A. Nessun gruppo e polivalente».

Dopo vent'anni d'onorata carriera ed oltre trenta dischi, cos'altro rimane da fare?

«Mah, ho affrontato tutti i temi che amo, in termini sia di linguaggio musicale che di contenuto. Tuttavia mi resta un'enorme quantità di musica per orchestra che nessuno ha mai eseguito né io ho mai avuto il piacere di sentire. Cose tipo Alien Orifice. Pedro's Dowry, Joe's Garage, Sinister Footwear e The Perfect Stranger. Questo è il progetto che più mi sta a cuore, ma decine di tentativi non sono andati in porto per qualche stupido motivo burocratico come il concerto con la Vienna Symphony Orchestra.

Ora abbiamo un'offerta da parte di un'orchestra polacca, il che significherebbe un mio viaggio di due settimane in Polonia per sovrintendere alle registrazioni e la cosa non mi esalta per niente. Il problema principale sta diventando: perché scrivere tutta questa musica se non puoi sentirla eseguita?».

Che tipo di pubblico ti aspetteresti ad un eventuale tuo concerto di musiche per orchestra?

«Lo stesso pubblico dei concerti rock, perché la gente che si reca di solito ai concerti classici lo fa per farsi vedere in quell'ambiente: non si tratta di veri appassionati, e sto parlando della situazione qui a Los Angeles. Quando suona la L.A. Philharmonic, il medico ci porta la moglie per sfoggiare con l'avvocato che a sua volta può farsi vedere dal contabile.

Inoltre, il repertorio scelto per queste occasioni é concepito per soddisfare le loro angosce, é tutto muzak! Non c'è nulla d'aggressivo, nessun elemento di sorpresa, di novità, e se c'è non è suonato bene, e quando è suonato male, allora tutti possano dire, "oh, ancora quell'orribile musica moderna! La odiamo!" e si ritorna a Brahms e Beethoven e tutti pensano d'ascoltare la vera musica Klassika con la Kappa maiuscola!

Quel che molta gente dimentica è che la musica classica, esattamente come il pop, poggia su formule, su frasi che ritornano ed agganciano l'ascoltatore in una qualsiasi canzone. Ma gli americani hanno questa stupida idea della musica classica, come di una musica fantastica, pura e meravigliosa. lo non la vedo cosi. All'epoca in cui quella musica venne scritta, l'autore era pagato dal re o dalla Chiesa. Se il re non gradiva la sua musica, non esitava a decapitare il povero compositore e allo stesso modo la Chiesa poteva strappare le unghie al malcapitato con dei ferri roventi. Cosi i compositori dovevano costantemente tener conto dei gusti del re o della Chiesa e non ci sono elementi di sorta per credere che, in qualunque epoca storica, la gente che deteneva il controllo dei compositori fosse dotata di buon gusto. A quei tempi il re rivestiva la stessa funzione dei Disc-Jockeys d'oggi e se il compositore d'allora poteva avere delle idee rivoluzionarie, è assai probabile che non le srivesse per non perdere il lavoro o la testa!».

Quanto reinvesti nella tua musica?

«In verità, parte dei miei guadagni li reinvesto in cibo per la mia famiglia! No, siamo seri, direi che quasi 1'80% dei guadagni finisce negli strumenti o negli stipendi della gente che lavora per me. Tra segretarie, copisti, tecnici ed il gruppo, ho circa una trentina di persone fisse. Non è facile, specie quando dal successo di un progetto può dipendere la sorte di molli altri. È possibile ormai che in un prossimo futuro io non sia più in grado di portare avanti la mia ... Arte! Da come vanno le cose, specie negli Stati Uniti, non c'è abbastanza gente che apprezzi questo tipo di musica per sostenerlo davvero. Nessuno lo prende veramente sul serio come forma d'arte. Ora, io non godo di nessun fondo né di finanziamenti occulti.

L'unica cosa che mi consente di proseguire a fare dell' ... Arte (!) è il denaro della gente che la consuma. Ad esempio, Sheik Yerbouti ha riscosso un enorme successo e ne ho ricavato un sacco di soldi ma da allora non c'è stato un solo disco che abbia venduto altrettanto».

Cosa mi dici di tuo figlio Dweezil che con i suoi coetanei ha fatto un gruppo che si chiama «Fred Zeppelin»?

«Dweezil ha deciso un giorno di imparare a suonare la chitarra ed è diventato un eccellente chitarrista, cosi ha formato questo complessino con dei compagni di scuola e l'ha chiamato Fred Zeppelin dal titolo di un album che non ho mai usato. Suppongo che potresti definire il loro genere New Wave, ma è più Heavy Metal con un sacco di distorsore, buffi ritmi e strane sequenze d'accordi... molto zappiano, devo dire ... i testi sono un po' particolari, i titoli delle canzoni sono diversi, tipo Crunchy Water o My Mother ls A Space Cadet. Ce n'è uno che si chiama Shacky e parla di un cazzo! Un giorno è venuto a mostrarmi il testo e gli ho detto, "beh, non avrai mai un hit con questa roba ma sei senz'altro sulla strada giusta, ragazzo mio!"

Hai mai pensato di scrivere un libro, la vera storia di Frank Zappa, una volta per tutte?

«C'ho pensato un paio di volte ma non mi divertirebbe. Si, potrei farlo ma a te piacciono le parole e a me la musica. Scrivere musica è il mio più grande divertimento e tutto il resto non mi interessa. E poi perchè darsi la pena di raccontare tutta la storia? Chi cazzo gliene frega?»