Anche i giornalisti nel loro piccolo s'incazzano ...

By Enzo Gentile

Hi, Folks!, July/August 1993


Pianto antico. È una nota poesia, nota a quanti hanno fatto la scuola dell'obbligo e hanno studiato sulle antologie che accumulavano le opere e le operine dei nostri più famosi letterati.

Ora che tanto tempo è trascorso, tanta acqua è passata sotto i ponti ed alcuni di noi hanno cominciato a frequentare e seminare l'orticello della musica leggera (o rock, pop, giovanile che dir si voglia), altra forma di pianto antico ci si trova a digerire. E da queste umili colonne vorrei suggerire una sanatoria nazionale, per smetterla con le menate, con l'accidia, l'invidia e altri peccati capitali (no, la gola no, le debolezze del palato lasciatecele): d'altronde se ci prova il principe Sihanouk in Cambogia a mettere d'accordo, o la sordina, ai belligeranti, perché non si dovrebbe tentare sulle nostre amate sponde a razionalizzare gli umori e il contegno di amici e colleghi nervosetti?

Dal pollaio della stampa (specializzata e non)

Cominciamo dal settore a cui, volente o nolente, appartengo: ho sempre pensato che i giornalisti musicali siano soprattutto dei fans, che si esprimono come un tifoso di calcio (la mia squadra è migliore della tua, anche se va in serie C), e non dispongono di nessuna verità e men che meno devono rischiare di voler essere oggettivi, pratica che vale la classica manciata di fumo negli occhi. Sto dalla parte della barricata di quelli che scrivono, ma talvolta è giusto, doveroso, sano prendersi la briga di leggere anche i confinanti e non soltanto le belle riviste straniere (l'erba del vicino continua forse a essere sempre la più verde?).

Sta di fatto che giornali, fanzine, pubblicazioni di varie matrici spesso e volentieri si disinteressano della specifico per il quale, si presume, alcuni generosi vanno in edicola a comprarli: trattare di musica, di dischi, di artisti diventa un optional, perché il prurito di un direttore, di un corsivista, impone l'elzeviro polemico, di attacco acido e borioso al colpevole di turno. E per anni sono rimbalzate da una testata all'altra, tra correnti scissioniste e falsi pionieri dell'unità, le accuse più gravi, punture di spillo, dispetti e tribolazioni a ruota libera.

Adesso, a spulciare anche la malferma prosa degli ultimi nati, vediamo fiorire recriminazioni, borborigmi da cattiva digestione, plateali lamenti per il reato di lesa maestà. Sono parole spesso vane, che hanno il peso della lettera all'amico lontano, carteggi che dovrebbero rimanere privati e da cui mi sono sempre ben guardato dall'aderire, nonostante alcuni cattivi maestri (Tutti Frutti, Mucchio Selvaggio in un lontano e avvelenato passato, altri più di recente) mi abbiano fatto segno delle loro attenzioni. Ora, io non cerco pubblicità e se proprio certo chiacchiericcio non serve a qualcuno per trastullarsi, preferirei uscire dal giro: dunque consiglierei, chiederei in punta di piedi agli amici (?) di Satisfaction, a Ivano Gladimiro Casamenti e quant'altri, di lasciarmi in pace, di scrivere e parlare di musica, se ne avranno voglia o opportunità, o di argomenti più alti, se ne avranno il bisogno o la capacità.

È troppo fresco il ricordo dei partitini dell'ultrasinistra, dei movimenti rivoluzionari che quindici vent'anni fa si frazionavano in schegge minimali, rompendosi su quisquilie elevate ai massimi sistemi, per aver il desiderio di ripetere l'esperimento. Che giornali e giornalini proliferino, che giornalisti e giornalai si moltiplichino, dibattendo sul sesso degli angeli o sulle virtù dei bootleg, ma per le comunicazioni personali ci sono le poste, i telefoni, i fax o, se proprio vogliamo puntare al meglio, la pazienza e il silenzio (degli innocenti).

Dalla polvere, sudore e lacrime dei concerti

Succede che ai concerti, che sono uno degli strumenti principali del mestiere, ci si vada sì per lavorare, ma anche per sentire e sapere qualcosa di più del cantante e del gruppo, per trascorrere un paio d'ore al cospetto di un evento che insisterei nel definire di diritto appartenente al girone della cultura e delle arti. E allora ci si accorge del sovrano disprezzo che circonda talvolta lo spettatore che una volta versate le trenta-quaranta mila lire del caso (o anche di più) si trova a subire una nequizia. Può trattarsi di sovraffollamento, di calura insopportabile, di aria irrespirabile, di cattiva amplificazione o di pessima visuale, ma siamo certi che gli spettacoli organizzati con il decoro, la professionalità e il rispetto che immaginiamo compresi nel rapporto tra venditore e acquirente di un qualsiasi prodotto, sono rari e che la sufficienza piena è praticamente un miraggio.

Nel mese di giugno, per esempio, utilizzare a Milano locali chiusi è un'atrocità, già preliminarmente un'idea da bocciare. Per sopravvivere senza soffrire, c'è solo da augurarsi che poca gente si sia convinta a partecipare: con il tutto esaurito mancamenti, svenimenti, senso di soffocamento, occhi arrossati, effetto sauna con micidiale mistura fumo-sudore sono condizioni naturali e improrogabili. E vien da ridere al pensiero che gli impianti di aria condizionata sono comunque messi in funzione: hanno una potenza che a malapena riuscirebbero a rinfrescare un'automobile, figurarsi un club, una discoteca, animati, elettrizzati dalla febbre del rock. L'approssimazione, il confidare nella buona stella, una solida dose di faccia tosta, la cecità, il grigiore di molti amministratori pubblici impediscono una fruizione più adeguata e ancora ci si complimenta per il fatto che rispetto a un po' di tempo fa, almeno, non ci sono più incidenti e tumulti di piazza per la musica!

Da spettatore dimezzato (l'altro pezzo è comunque invischiato nel ruolo di addetto ai lavori) mi sorprende e mi sconcerta tutte le volte vedere riconfermati i malvezzi che, come dice quel tipo in televisione, aborro.

Quelle sarebbero occasioni d'oro per denunciare, per aprire una battaglia seria, non solo della musica, ma per la musica, mentre risulta forse più comodo e facile discorrere di tecnica chitarristica, di banalità per aficionados o guaire, berciare alla stregua di comari ferite nell'onore contro la rivistina concorrente, o presunta tale, verso il giornalista vicino di banco.

Così è, se vi pare...

N.B. Suggerisco agli interessati quanto sia amabile e generoso chiamarsi fuori, smetterla di fare i capricci, di ringhiare.

È vero che tanto incazzarsi è gratis, ma non vorrei, una volta di più, dare ragione al sempiterno Frank Zappa, il quale, un giorno, disse: "Buona parte del giornalismo rock è gente che non sa scrivere, che intervista gente che non sa parlare per gente che non sa leggere" (pagina 60 di "Anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano - Anno secondo", con dedica autografa di Gino e Michele: che alludessero?).