Zappa Memorie Freak Out

By Riccardo Bertoncelli

Rockerilla, February 1996


All'origine di tutto c'è la leggendaria sala d'ascolto di casa Zappa, nel cuore della "Utility Muffin Research Kitchen & Baby Milk Factory". Rip Rense la descrive così: «Sedersi sul grande, morbido divano di cuoio che troneggia in mezzo alla stanza è come entrare in una copertina di un album zappiano. Vi si accede da una porta che un tempo era di un ospedale, con la scritta 'chirurgia', e dentro ci sono piante e acque scure, muri di legno grezzo intagliati in modo bizzarro per ragioni acustiche e una pletora di oggetti che si capisce subito, o proprio per niente, perché sono lì: targhe automobìlistiche personalizzate inviate dai fans (un RDNZL, Vermont, uno Zappa, Massachussetts, un Hotzitz, Sud Carolina); pile di 'master tapes' dal pavimento al soffitto; un armadìllo impagliato; una lettera in cornice di Edgar Varèse datata 15 agosto 1957; una serie di 'matrioske' russe a immagine zappiana; bottiglie di acqua calda marchiate "The Yellow Shark", un'idea promozionale poi abortita per i concerti di Francoforte; la scultura di rottami usata per la copertina di "Burnt Weeny Sandwich"; e altro altro altro ancora».

In quell'ambiente che "gli stava a modino, come il mantello a Bela Lugosi", Zappa ascoltava i dischi preferiti (Johnny Guitar Watson, Stravinskij, vecchi canti marinari) e decideva le sue complesse, monumentali antologie, pescando con l'amo magnetico della memoria da quel favoloso archivio prima descritto, "dal pavimento al soffitto": più di 10.000 ore di registrazioni audio/video, 2 milioni di dollari in 'puro valore commerciale dei nastri', senza contare cioé quel che vi è inciso.

I sei volumi di "You Can't Do That On Stage" nacquero lì, in sala chirurgica, da un esasperato lavoro di ascolto e sutura: e così "The Best Band You Ever Heard" e "Make A Jazz Noise Here", le raccolte dedicate al 'tour' del 1988, e "Playground Psychotics", ultima nella serie delle opere di 'antropologia social-musicale' tanto amate dal maestro. C'era un'ultima compilazione di quelle che intrigava Zappa e ci lavorò nell'ultimo anno e mezzo di vita, per l'appunto in 'chirurgia', ritagliandosi con gusto dei momenti di pausa dai 'lavori forzati' di "Yellow Shark", "Ahead of Their Time" e "Civilization Phaze III", i molteplici progetti del periodo. Lo aiutava il fido tecnico/archivista Spencer Chrislu e si deve proprio a Chrislu se il progetto non è andato perduto con la morte di Zappa e oggi vede la luce con il titolo di "Lost Episodes", 55° disco del' 'opera omnia' edita dalla Rykodisc.

Lost Episodes' è un fantastico viaggio in Zappalandia sul filo della cronologia, una storia in parole e musica che dal 1957, anno di un primitivo avanzo di nastro dei BlackOuts in un garage del Sud California, porta al 1979 e al 24 piste su cui venne registrata agli Ocean Way Recorders la versione originale di "I Don't Wanna Get Drafted".

Dio solo sa quanto avrei amato questa semplice forma cronologica, e le ricchissime note che traboccano di aneddoti e ricordi, anche per gli altri estratti dagli archivi zappiani. Ma per Zappa queste eran ragioni da teste quadre. Il suo spirito anarchico non soffriva linee rette, 'obiettività storica', filologia e amava invece salti di palo in frasca, divagazioni, musica + 'social commentaries', insomma, quegli sghembi 'collages' con testa freak 1965 e piedi Sinc-elettronici 1992 che ben conosciamo. Fortuna che per una volta, e proprio l'ultima, il Gran Pachuco ha provato a dar ragione a noi zucconi: perché il volo storico sul filo delle bucce avanzate (29 inediti, per lo più in studio) è bellissimo e toccante, perfetta colonna sonora all'autobiografia scritta anni fa con il giornalista Peter Occhiogrosso e più volte citata nelle note. Anzi, perché non aver pensato a suo tempo a un 'audio book' con questo e quello? E, doppio anzi: perché non aver esteso la parte dei 'trivia' nel libro, insistendo fino alla mania sulla nebulosa di aneddoti e tipi strani che da sempre è lo spettacolo più abbagliante nei cieli zappiani?

Sotto questo profilo, "Lost Episodes" è un disco fantastico, mirabile nella sua 'trivialità'. Uno ne avrebbe la mente piena anche senza ascoltare una sola nota di musica, solo seguendo il filo delle favole e dei personaggi che si rincorrono:

Kenny e Ronnie Williams che nella loro casetta di Ontario, California, conducono esperimenti sui detriti umani, facendo invecchiare urina o cospargendo i vetri di casa con secrezioni nasali; Motorhead Sherwood che passa i fine settimana portando di che mangiare a Zappa, che si è 'sepolto vivo' nello studio Z tutto dipinto di nero; Sugarcane Harris che diventa una rockstar, cade in disgrazia, finisce in prigione e ne esce solo perché Zappa lo vuole a una 'session' e gli paga la cauzione; l'agente pubblicitario Ed Seeman che va a vedere le Mothers al Garrick Theatre e si convince che Zappa è il musicista ideale per scrivere il jingle di un medicinale per la tosse (il jingle si farà sul serio, sembra una outake di "We're Only in It" e nel 1967 vincerà il "Cleo Award" come "miglior musica per fini pubblicitari").

In un simile paesaggio freak, spicca come un gigante Don Van Vliet, l'impagabile Captain Beefheart. In "Lost in a Whirlpool", prezioso reperto etrusco-californiano, circa 1958, Io si sente blueseggiare in falsetto, come imitando Blind Lemon Jefferson o qualche Big Marna sopra i cento chili: in Tiger Roach', di 4 anni più tardi, grufola invece a mò di un cinghiale sopra la chitarra storta esporca di F.Z. "Lost Episodes" riporta anche un trittico di sue incisioni più tarde, 1968-69, quand'era già una celebrità nel campo del rock 'deranged': una breve lettura di "The Grand Wazoo" (con sovraincisioni zappiane al synclavier degli anni '90) e due esempi di quel "rock antropologico da campo", grezzo e spesso improvvisato, che Zappa pensava fosse l'ideale per il Cuordibue. (Era proprio così, con un due piste nella cantina di casa, che il Pachuco sperava di registrare "Trout Mask Replica". Ma, quando Beefheart lo sèppe, si offese e reclamò uno studio 'vero': pensava sera risparmiare sulla sua pelle).

In mezzo a queste situazioni picaresche, Zappa non dimentica la musica. Mica solo le romantiche terzine svitate con cui intrattiene il popolo dei bar di Pomona o San Bernardino, l'incredibile doo wop tipo "Fountain of Love" o "Anyway the Wind Blows" che si terrà stretto per tutta la carriera come un talismano di giovinezza e candore: anche 'roba seria', musiche ben oltre il sistema solare del pop. «Ho cominciato a scrivere pezzi rock&roll quando avevo già vent'anni», puntualizza il maestro nelle note, non senza civetteria. «Le mie prime composizioni sono state musica da camera e partiture orchestrali». "Lost Episodes" documenta bene questo Zappa ancora implume ma già trasversale. Ci sono scampoli della colonna sonora di "Run Home Slow", "unico western elettronico nella storia della cinemusica": una 'first take' di "Take Off Your Clothes When You Dance" dove si scopre che la prima anima di quel capriccioso pezzo, poi finito su "We're Only in lt, era soft jazz: e un frammento della performance al Mt. St. Mary College di Los Angeles che è la madre di tutte le battaglie orchestrali poi condotte da F. Z.. Già allora, anno di grazia 1963, c'erano gli elementi di una storia ben nota: complesse partiture strumentali, avanguardistici mix multimedia, musicisti inaffidabili e molti soldi persi.

"Lost Episodes" è un dolcissimo labirinto, mi ci perderei volentieri sperando di incontrare, svoltato l'angolo della prima versione di "Inca Roads" (solo strumentale), F. Z. in persona. Due pezzi soprattutto mi aprono il cuore. "Basement Music n. 1" è una 'visione' elettronica del 1978, registrata da Zappa nei sotterranei di casa sua con una primitiva scatola sonora, il Rhythm Ace, e un 4 piste artigianale: incredibile ma tutto comincia 'già' li, 'tutto' nel senso di 'Jazz From Hell", di "Civilization', dei più sofisticati esperimenti con il Synclavier. E poi "Sharleena", mirabile chiusura del disco, il più grande e struggente inno pachuco all'amore. Questa è la quinta versione che finisce ufficialmente su disco ma alzi la mano chi ne ha abbastanza: io proprio no, la mia fame per quel lamento straziante ("I'm cryyyyyyying") è tale che potrei apprezzare perfino un doppio CD tutto di "Sharleena" - ci pensino, quelli del Zappa Trust. Questa comunque è una versione 'mooolto' speciale: la prima in assoluto, un giorno del 1970 ai Record Plant di Hollywood, con il quintetto di F. Z., Max Bennett, Aynsley Dunbar, Ian Underwood e Sugar Cane Harris (per inciso, è lo stesso di "Chunga's Revenge' sull'album omonimo). Il passo è più lento rispetto alla 'take' definitiva, l'anangtamento ancora impreciso anche se il brano esisteva già da due, forse tre anni: e Zappa e il grande 'Cane' si perdono in favolosi sproloqui che finiranno poi cancellati nella versione definitiva. Dodici minuti di puro divertimento, e non solo: un tuffo indietro verso la più favolosa stagione zappiana, quella di "King Kong", "Hot Rats", "Burnt Weeny Sandwich' che ancora splende e fermenta nelle teste di tutti gli irriducibili 'hungry freaks' (daddy).