Intervista con Frank Zappa Hollywood, 11 agosto 1989

By Veniero Rizzardi

Mucchio Extra, Autumn 2004


L'intervista che segue è di quattordici anni fa. Propiziata da un amico comune, il compositore Cari Stone, la raccolsi a casa di Zappa nell'agosto del 1989 e- salvo un passaggio radiofonico notturno qualche mese dopo alla Radio Svizzera Italiana, in voice over - è praticamente inedita. Zappa era ancora sotto choc dopo un tour artisticamente eccelso ma finanziariamente rovinoso come quello del 1988 - ce ne sono circa sei ore su cd ufficiali (Broadway The Hard Way, Make A Jazz Noise Here, The Best Band You Have Never Heard In Your Life e pezzi sparsi qua e là tra i sei volumi di You Can't Do That On Stage Anymore).

Che Zappa inclinasse al risentimento e al vittimismo è noto, ma quello che mi sono poi trovato di fronte era un musicista e un uomo veramente esacerbato. Anche troppo: man mano che la conversazione procedeva era evidente che lui sembrava persino compiaciuto di non trovare speranza da nessuna parte, se non nel lavoro solitario con il synclavier (allora il meglio, allo stato dell'arte, in fatto di stazioni audio).

E così è andata, come sappiamo: nei pochi anni rimastigli sarebbe riuscito soltanto a collaborare, oltre che con la macchina, con l'Ensemble Modern di Francoforte, tipico esemplare di istituzione europea efficiente perché ben sovvenzionata, splendidamente fuori mercato, così lontana dall'economia dello spettacolo con cui lui aveva a che fare, di cui era anche vittima, ma di cui in fin dei conti condivideva i principi: il suo orizzonte era circoscritto ai limiti del mercato, a cui credeva, con quella dose di ingenuità che di solito manca agli apologeti professionali del liberismo.

E quando, verso la fine della conversazione, abbandonò per un attimo la musica per dichiarare i principi della sua filosofia politica, fairness and practicality, lo sentimmo professare il credo della sua integrità di anarchico, ma insieme anche una di quelle forme di free thinking che abbiamo spesso ascoltato dai neoconservatori americani, specie in era Internet. Tutto questo suona un po' contraddittorio rispetto alla visionarietà della sua musica, ma è anche vero che i tratti utopici che molti di noi, tanto affettuosamente, hanno annesso all'arte di Zappa sono stati una forzatura, e un prolungamento improprio del freaking out che è stato l'atto di nascita suo – e di una generazione che ha imparato ad amare il lavoro di un personaggio in un'adolescenza di trent'anni fa.

Dall'altra parte – ricordiamoci che eravamo ancora nel 1989 – c'era un intervistatore che, un po' ingenuamente ma più che altro per lacerare la tela di pessimismo che gli si era formata davanti (facendo peggio, però), cercava di confrontare l'artista Zappa con modelli meno spietati, sostenendo che, insomma, un buon compositore in Europa può vivere del suo mestiere. Come sappiamo, sarebbe durata ancora per poco. Si parla dunque soprattutto delle difficoltà, per un artista serio, di lavorare mantenendosi integro anche dedicandosi al semplice intrattenimento. Un paradosso che era soltanto suo, se non altro perché il suo concetto di entertainment era molto più impegnativo di quanto volesse far credere.

Hai detto che non tornerai a dare concerti, e che la cosa non ti mancherà. Le ragioni, mi pare sono economiche, visto che i due ultimi tour, quelli dell'84 e dell'88, sono andati male. Perché?

Perché? Perché nell'84 non abbiamo fatto il tutto esaurito. Nell'88 invece ci siamo riusciti, però gli spazi non erano abbastanza grandi per contenere il pubblico. Anche se riempi una sala da tre/quattromila posti non riesci a ripagare un gruppo di dodici musicisti come quello dell'88. In tournée avevamo quarantatré persone, cinque camion, tre autobus. Tutti sono stati pagati e io ci ho rimesso 400.000 dollari. Non mi interessa più fare una cosa del genere. Chi paga? Ciò che posso dirti è questo: è bene che abbiamo registrato molto durante il tour dell'88, c'è molto nastro. Almeno la gente potrà ascoltare su cd questo gruppo, tutto il lavoro che è stato fatto, gli arrangiamenti nella loro forma migliore, ma per il futuro (scandisce le parole, Ndl) non ho nessuna intenzione di spendere un centesimo dei miei soldi per pagare un musicista, mai più in vita mia, per suonare la mia musica. Fine.

Questo significa smettere di comporre?

No, non smetterò di fare il compositore, smetterò di fare il fesso! Quando qualcuno sentirà queste parole penserà: come è possibile che un uomo getti letteralmente via tanti soldi, l'equivalente di più del costo di due case, o di una casa e un po' di automobili, soltanto per portare in giro un gruppo a fare della musica? Avranno ragione ... Come posso farlo ancora? (silenzio, Ndl) A scoraggiarmi definitivamente è che la gente che ha suonato in questo gruppo non è riuscita ad apprezzare ciò che ho fatto: per loro era soltanto un lavoro. Ce n'erano solo due che capivano. Dopo l'ultimo concerto, a Genova, di dodici, nove sono venuti in camerino e mi hanno detto "bene, arrivederci"; altri tre, che sono stati con me anche per più tempo, non si sono fatti nemmeno vedere, e da allora non li ho più visti. Abbiamo provato quattro mesi per mettere insieme il gruppo, quattro mesi; sai quanto costa un locale per le prove, solo il locale? Duemila dollari al giorno (scandisce, Ndl). Sono tanti soldi, solo per avere un posto per provare. Poi, quando ci aggiungi le luci e le sistemi in modo che il direttore delle luci possa provare lo spettacolo, quelli sono altri mille dollari al giorno, per le due ultime settimane di prove. Poi devi pagare tutti. Quindicimila dollari a settimana per provare, e duemila al giorno quando sei in tournée, per i musicisti. Quindi la benzina, il cibo, gli alberghi, gli aerei ...

È sempre stato così, anche con i gruppi precedenti?

Beh, ciò che succede di solito è che un musicista che fa già parte del gruppo da un po' di tempo vuole essere pagato più di un nuovo arrivato, mentre quest'ultimo invece sa che sta lavorando quanto l'altro. Se poi ci sono delle disparità di trattamento, nel bel mezzo della tournée qualcuno comincia a lamentarsi ...

Per andare avanti non c'è nessuna possibilità di sostegno esterno? Uno sponsor, per esempio?

Non credo che esista un solo possibile sponsor, come una normale impresa, che possa soltanto prendere in considerazione di sostenere un nostro tour, perché a quella gente piacciono i gruppi che non rilasciano mai interviste o dichiarazioni polemiche.

Si tratta della vecchia questione della "mancanza di potenziale commerciale" della tua musica?

No, la cosa ha a che fare proprio con la mia persona. Io non ho mai avuto contatti con quella gente, e la ragione per cui quelli non proveranno nemmeno a telefonarmi è perché se io faccio un tour, rilascio interviste – la maggior parte dei grandi gruppi non ne fa proprio. Dovunque io vada, se qualcuno mi chiede un'intervista, se posso farla, la faccio. E ogni volta non ci si trova a parlare del mio ultimo hit, perché io di hit non ne ho. Si parla di politica, di istanze sociali, di ambiente, di qualunque cosa ... e io dico sempre quello che penso, non meno il can per l'aia, no. Se c'è uno sponsor che paga e garantisce per la tua tournée, queste cose non te le lascia fare: tu in quel momento stai rappresentando il suo prodotto, e i dirigenti non saranno mai d'accordo con quello che dici. Questo è il problema.

Credo che in Europa la situazione sia diversa, mi sembra che in questo senso ci sia una maggiore libertà.

Tutto quello che devi fare per convincermi di avere ragione è provarmi che questo sia successo prima. Provami che un artista che ha messo la sua lingua in un'intervista è riuscito ad avere una sponsorizzazione seria. Io non ho prove del contrario, ma so che è così.

Da qualche anno stai producendo una serie di cd, un'antologia di tutti i concerti fatti a partire dal 1969. You Can't Do That On Stage Anymore è un titolo molto nostalgico, ma è tutta l'operazione che suona un po' nostalgica, come a voler dire: "questi sono i bei tempi andati, quando fare concerti era divertente. Adesso non ce lo si può più permettere".

È vero, non me lo posso più permettere. Non c'è niente da fare. D'altra parte non c'è più molto da divertirsi. Comunque, se io metto insieme una raccolta che mostra quello che il gruppo ha fatto nel corso degli anni, ciò non significa necessariamente che queste cose fossero piacevoli o divertenti: si tratta di un reportage, è come fare del giornalismo ... Questo era il gruppo, suonava cosi, questi sono gli scherzi che si facevano eccetera, è un documento storico, non si tratta di nostalgia.

Per tornare a fare concerti, però, non è possibile pensare a progetti meno ambiziosi, o anche solo diversi, per esempio girare con gruppi più ridotti?

Ecco l'altro esempio: nel 1984 il gruppo era di sette elementi, abbiamo fatto una tournée di sei mesi, e io ci ho rimesso 250.000 dollari. Era un po' più della metà dell'ultima band. La differenza sta piuttosto nel fatto che il gruppo dell'88 ha avuto recensioni entusiastiche in tutto il mondo, piaceva moltissimo, insomma era qualcosa per cui valeva veramente la pena di comprare un biglietto, ma era anche qualcosa che non potevo proprio permettermi. Posso dire di essere stato abbastanza folle perché questo, almeno una volta, sia potuto succedere, e ci sono registrazioni che lo provano. Ma che debba accadere ancora ... no! L'unico modo perché io possa tornare su di un palcoscenico è che qualcuno paghi. Io non ce la faccio più.

Quindi nella situazione di oggi nessuno può più permettersi il lusso di fare un tour.

Dipende da quel che intendi per tour. La parola tour copre una quantità di cose diverse. Che cosa mi dici di Tiffany, per esempio? Per Tiffany fare un tour è fare shopping, far girare un nastro, ballare un po' e far finta di cantare, sempre in playback. E questo sarebbe un tour? Io nel 1988 portavo in giro un esercito. Tecnicamente, logisticamente, essere capaci di salire su di un palco ed eseguire quel tipo di musica dal vivo è un problema grosso, complicato, costoso. Ora, se tu hai fatto questo ed è piaciuto, al pubblico, ai giornalisti, a tutti, come è possibile tornare da questa gente con qualche cosa di meno?

Allora è finita.

È finita per chiunque. La gente deve rendersi conto che un musicista che suona dal vivo deve essere pagato per farlo, perché ha una famiglia. Mangia. Ha una casa, eccetera. Ora, se un musicista non guadagna abbastanza, che cosa fa? Bene, oggi la risposta è: simula. Nella maggior parte degli spettacoli che vanno in giro, non ci sono musicisti che suonano davvero. È tutta simulazione, il resto lo fanno le luci. Siamo arrivati alla fine della musica suonata dal vivo.

Il tuo lavoro con il synclavier, oggi, ha qualcosa a che vedere con questa situazione?

Beh, mi dà almeno la possibilità di continuare a fare qualche specie di musica, ovviamente non dal vivo, ma è comunque musica. Nell'88 l'ho usato dal vivo, insieme agli altri strumenti, ma se davvero dovessi andare in giro soltanto con il synclavier che cosa avresti? Un uomo e una macchina: l'uomo preme un bottone e la macchina parte. Tu compreresti un biglietto per uno spettacolo del genere? lo no. Sarebbe come andare in giro con un nastro.

Parliamo di chitarra. Mi pare che tu ti sia espresso con molta modestia rispetto al tuo ruolo di chitarrista ... Spesso hai detto di non essere tecnicamente abbastanza dotato, e poi hai spesso insistito su una certa bruttezza, sulla blasfemia del suono della chitarra, piuttosto che sulla sua bellezza.

Sulla blasfemia ho detto che la chitarra elettrica è l'unico strumento che è capace di essere blasfemo, non ho detto che io la usi in questo senso ... Lo posso fare, ma comunque è un dato di fatto: volevo dire che una cosa del genere non è possibile a chi soffia dentro un oboe. Non è mia intenzione suonare brutta musica per chitarra. Quanto all'abilità tecnica, questo è un altro dato di fatto: sono capace di suonare quello che penso, ma non quello che scrivo, e per questo assumo qualcun altro che lo sappia fare.

Un'altra dichiarazione interessante: spesso hai detto che la tua musica è intesa soltanto all'intrattenimento e hai messo in guardia chi intende considerarla una forma d'arte.

Non mi sembra di aver mai detto che la mia produzione è buona come sottofondo (non è vero, sulla copertina di Apostrophe si parlava di musica "for dining and dancing pleasure", Ndl), ma l'intenzione è quella dell'entertainment. Nel mondo della musica d'arte oggi, uno dei problemi è che ti tocca prenderla come una medicina cattiva. Nella maggior parte dei casi ti trovi di fronte a pezzi che sono troppo lunghi, troppo noiosi, troppo brutti. All'idea che il compositore crede di aver attinto da qualche cosa di artistico corrisponde il fatto che quella proposta non offre granché a chi ascolta. lo ho un altro atteggiamento: anche se la maggior parte della gente non ama ciò che faccio, quelli a cui piace si divertono. Non consumano i miei brani perché hanno qualche valore "alto", ma perché ci provano gusto.

Non pensi che questo sia un understatement, oppure è solo un modo di reindirizzare l'apprezzamento della musica?

No, è un'affermazione di fatto. Supponi che io scriva sulla copertina: Attenzione, questa è arte. Se qualcuno pensa che sia cosi, d'accordo, ma l'intenzione è un'altra. La mia speranza è che le persone si divertano ad ascoltare quello che io mi sono divertito a mettere insieme.

Perché però mettere esplicitamente in guardia il consumatore dicendogli: Attenzione, questa non è arte?

Era scritto sull'album di musiche mie dirette da Boulez, perché sapevo che genere di critici avrebbero recensito quel disco e sapevo anche che chi aveva acquistato dischi come Apostrophe o Overnite Sensation non lo avrebbe acquistato. Immagino che un qualunque compositore abbia bisogno di sapere che quanto fa è arte con l'A maiuscola e voglia essere considerato un artista con l'A maiuscola. Io non ne ho bisogno, non ho bisogno che qualcuno che scrive su di un giornale me lo venga a dire. Per quel che mi riguarda è una cosa del tutto secondaria.

Spesso ti sei lamentato della critica, principalmente perché i giornalisti rock non conoscono la musica. Ma che cosa diciamo di quelli che hanno recensito le composizioni che non si occupano di rock? Almeno loro posseggono competenze più tecniche, anche se magari non hanno un atteggiamento favorevole verso la tua produzione ...

No, perché coloro che seguono il mio lavoro sono sempre gli stessi. Il critico del New York Times non recensirà mai un mio album rock, non lo ascolterà nemmeno, non è pagato per farlo. L'unica cosa che recensirà sarà il disco con Boulez, ed è infatti l'unico di cui ha scritto. Anche questi critici sono svantaggiati, perché se un disco come quello fosse stato prodotto da un tale che non avesse mai avuto contatti con il rock, sarebbe tutta un'altra storia; ma devi capire il contesto in cui quella musica è stata scritta, cioè non da un tale che se ne sta seduto in qualche università, ma da quest'altro tale che se ne sta seduto in qualche spogliatoio di uno dei tanti palazzetti dello sport. Devi accostarti da un altro punto di vista, perché non si tratta della tipica produzione accademica. Dunque non esiste un critico di rock che ne sappia abbastanza di tecnica compositiva o di storia della musica, e non esiste d'altra parte un critico serio che sappia abbastanza di rock per capire ciò che faccio. Tutto quello che si scrive in proposito è quantomeno incompleto.

Mi sembra però che negli USA i musicisti delle ultime generazioni siano più aperti e disponibili che non in Europa, non si limitino solo ad un genere e abbiano esperienze in ambedue i campi.

Anche di più, anche nella etnica, nel jazz, e non solo, nella classica e nel rock. Vero. Tu mi parli di due generazioni di compositori che lavorano in media diversi, ma non esistono critici che siano attrezzati anche solo per descrivere quello che ascoltano a un pubblico che poi, probabilmente, non lo ascolterà mai.

Allora parliamo del pubblico. Per chi scrivi?

Per me, prima di tutto, e poi per gente che ha gusti simili ai miei.

Pensi che ci sia qualcuno a cui piacciono tutte le diverse cose che fai?

Pochi, ma ci sono. Fondamentalmente il mio pubblico si divide in quattro categorie: quelli a cui piacciono i testi perché sono divertenti, quelli a cui piacciono gli assolo di chitarra, quelli a cui piacciono le cose più simili al rock e quelli a cui piacciono le stranezze.

Hai un atteggiamento pedagogico verso ciascuno di questi settori di pubblico, nel senso di indirizzarlo verso un apprezzamento globale della tua musica?

Si può fare, ma non si può legiferare su questo. Uno dei modi in cui posso farlo è comporre un disco in cui una canzone ha delle parole stupide, un'altra ha trovate interessanti per la chitarra, un'altra ancora è complicata, si muove in una direzione colta. Il risultato è un album che un esperto rock medio definirà "dispersivo". Capito? lo ho fatto molti dischi "dispersivi" e continuerò a farne, perché per me tutte le musiche hanno a che vedere l'una con l'altra, tutte sono musica.

In Europa un compositore può vivere della sua musica. Ha commissioni pubbliche, per esempio.

lo ho avuto offerte di commissioni. Molte. Ma nessuna mi avrebbe mai pagato abbastanza per farlo. Quanto pensi che ci voglia per scrivere un pezzo di musica? Qualcuno ti chiama e ti offre 10.000 dollari. Se fossi un compositore alle prime armi sarebbe fantastico, ma io non lo sono e non posso perdere tre mesi della mia vita e scrivere un pezzo per 10.000 dollari. Ho un'impresa a cui pensare. Non c'è niente da fare. Pensa solo a quello che ti rimane dopo aver pagato i copisti.

Volevo dire che in Europa è diverso: ci sono enti radiofonici, teatri che consentono a un compositore di lavorare e vivere ...

Sono contento per loro, sarà l'unico modo per poter mantenere in vita la musica. Negli Stati Uniti è un'altra cosa. Devi renderti conto che la mia bolletta dell'elettricità è di duemila dollari al mese e poi ho un tecnico, un assistente per il computer, due segretarie che lavorano qui in casa. Come faccio a smettere quello che sto facendo per lavorare tre mesi ad una cosa che mi frutterà 10.000 dollari?

Mi hai illustrato una situazione disperata.

Non è disperata, perché io continuo a scrivere il problema è trovare una strada perché ciò che faccio giunga alle orecchie della gente che vuole ascoltarlo. L'economia attuale mi preclude un certo modo di fare musica, cioè quello che comporta l'impiego di esecutori dal vivo, che devono essere pagati, per i quali occorre noleggiare o acquistare strumenti, una sala prove. Poi devi essere sostenuto da una squadra che segua il tour, è un'operazione massiccia, ad alta intensità di capitale. Non posso più lavorare per questo mezzo. Vado avanti con il synclavier, lì faccio tutto quello che voglio, così mi pago la bolletta dell'elettricità. Già: però, una volta che l'ho scritta, questa musica, l'unico modo di farla ascoltare è metterla su di un disco; se lo faccio, visto la musica che è, non la passeranno mai alla radio, o su MTV e nessuno saprà mai che quel disco esiste a meno che tu non spenda soldi per fargli pubblicità, perché sei tagliato fuori dalle due forme principali di promozione, radio e MTV. Quindi o fai interviste o compri spazi pubblicitari. Inoltre, dal momento che non si tratta di rock, ho a che fare soltanto con la parte più piccola del mio pubblico, quella che si interessa a quello che faccio con il synclavier.

È sempre stato così, il pubblico si è sempre comportato così o era meglio prima?

La divisione fondamentale tra il pubblico è sempre la stessa. La differenza è che in passato ci si poteva permettere di fare quel tipo di cose, oggi non è più economicamente possibile. Oggi chi vuole consumare i pezzi che scrivo deve dimenticarsi ogni collegamento con esseri umani, perché sono troppo costosi.

Quale può essere il destino del tuo lavoro con il synclavier?

Lo scopo è di comporre: si può farlo con la matita, con la penna o con la macchina. La differenza sta nel fatto che, se si usa la penna, bisogna pagare dei musicisti per potere ascoltare ciò che hai scritto. La mia scelta di lavorare con il synclavier non ha a che fare con questa economia: in questo modo si può infatti scrivere partiture che nessun essere umano sarà in grado di eseguire. Perché non specializzarsi in questa cosa?

Parliamo del tuo modo di lavorare come compositore. Per esempio, di solito, quando hai un'idea essa nasce già con una destinazione, per non dire già orchestrata?

Non sempre. Con il synclavier quasi mai.

Lo usi come useresti un pianoforte?

Puoi anche farlo, ma fondamentalmente lo utilizzi per ascoltare ciò che hai scritto. Devi essere il compositore, l'arrangiatore, l'orchestratore e il direttore.

Volevo cercare di capire qual è la differenza tra scrivere per il gruppo rock e per altri organici.

Difficilmente con il gruppo rock riesci a sapere quale formato è più conveniente. Sai più o meno quanto deve essere lungo un pezzo, perché hai a che fare con la misura dell'interesse di un certo tipo di audience. Il pubblico consuma questo tipo di cose secondo una misura molto ridotta, non puoi scrivere sinfonie per questa gente.

Non sinfonie. Si può trovare una via di mezzo.

Non rimane molto nel mezzo. Questi ascoltatori non riescono a rimanere interessati a un dato argomento musicale per più di sette minuti, non si può andare oltre. La misura di due minuti e mezzo, tre minuti è quella preferita: vogliono un evento compiuto nello spazio di due minuti e mezzo, tre, perché sono stati educati a questa misura dalla radio, e così via. Per loro questa è una canzone. L'eccezione potrebbe essere Stairway To Heaven, che dura nove minuti: è una canzone, ma è una canzone epica. Il pezzo più lungo che ho scritto - e che potrebbe ancora tenere desta l'attenzione – è Billy The Mountain, ventidue/ventitré minuti, ma c'era della coreografia, era diviso in diverse sezioni, c'era una storia, tanti spunti.

Un'altra evenienza che potrebbe estendere il limite di un brano oltre i tre minuti sarebbe la canzone strumentale, con assolo. Finché anche l'assolo strumentale non dura più di tre minuti va bene, purché però non ce ne siano più di tre, perché allora il pubblico pensa di non avere speso bene i suoi soldi; tu hai suonato un pezzo soltanto! Capito? Potrebbero essere stati venti minuti della più grande improvvisazione che tu abbia sentito in vita tua, ma ci sarà gente in platea che penserà "non hanno suonato abbastanza canzoni durante lo spettacolo".

In passato gli appassionati di rock e quelli di jazz erano separati. Continuo a parlare dal mio punto di vista europeo, naturalmente, ma mi sembra che oggi tendano a mescolarsi.

Solo in Europa, non negli Stati Uniti. La maggior parte della gente che va ai concerti rock non va mai ad ascoltare jazz. Ho grande rispetto per gli europei, mi sento molto vicino a loro, penso che certi miei atteggiamenti siano più europei che americani, ma quello che è difficile capire per un europeo è quanto diverse siano qui le cose. A te sembra scontato, perché vivi nel Vecchio Continente e hai il tuo punto di vista, ma non ti rendi conto che certe cose non sono nemmeno mai state inventate qui da noi; la concezione stessa della musica secondo la gente di questo paese è qualcosa di alieno alla comprensione europea. Noi quando facciamo un tour dobbiamo preparare due spettacoli completamente diversi per l'Europa e per gli Usa e per me è un sollievo venire da voi, perché trovo più disponibilità verso ciò che si suona. Il "tuo" pubblico ascolta i pezzi strumentali, gli assolo, e non pensa di essere truffato se ce ne sono tanti in un pezzo che finisce poi per durare un quarto d'ora ... Negli Usa è un'altra storia: qui vogliono una canzone dopo l'altra e poi vogliono che ci si fermi dopo ciascuna, così possono gridare, saltabeccare e poi via, un altro pezzo! È come se stesse girando un contatore: quante canzoni vale il mio biglietto? Noi poi non ci fermiamo tra un brano e l'altro, né qui, né là.

Un'altra cosa che riguarda l'Europa - e qui ci spostiamo su un altro argomento - sono i vecchi malintesi sulle tue prese di posizione politiche. li pubblico europeo non ha aggiornato le sue idee sulle tue; un tempo si trattava di un generico antiamericanismo e questo atteggiamento si è cristallizzato, in modo tale che da noi non si comprendono più le tue attuali posizioni.

Non ho controllo su questo: credo ci sia una certa quantità di malintesi su di me in Europa. Alcuni di quelli che mi seguivano lì, in origine, appartenevano all'estrema sinistra. lo non sono di estrema sinistra, ma pensavano che lo fossi.

Nel tuo lavoro, anche a prescindere dalle idee politiche, è evidente una forte preoccupazione morale. Credi di riuscire a trasmettere queste idee attraverso la musica, anche a prescindere dalle parole? Per esempio lavorando con gli stili, manipolando linguaggi e riferimenti, pensi di potere comunicare al pubblico europeo ciò che puoi fare esplicitamente con le parole negli Stati Uniti?

No, perché ciò che metto insieme manipolando stili ha a che vedere con generi che sono familiari a un pubblico americano e non conosco tutti i riferimenti europei, visto che non sono nato in Europa.

Beh, i riferimenti del rock sono comuni, anche se ci sono cose locali che sono difficili da capire.

Ecco, quelle comuni: l'ascoltatore medio sa certamente distinguere l'heavy metal dal country & western. Dunque ci sono due riferimenti che sono ovvi per me, se voglio manipolarli. Oppure, per quelli che sono stati qui, la musica che si ascolta negli alberghi, nei cocktail lounge. Anche questi sono riferimenti ovvi, poi ci sono quelli più sottili e sono linguaggi decisamente non universali. In Europa hanno qualche familiarità con il reggae, pure.

Comunque non pensi che le tue preoccupazioni politiche possano essere trasferite altrove?

Alcune. Posso farlo, certo, perché le basi delle mie concezioni politiche sono correttezza e senso pratico. Vale per qualunque paese, lascia perdere le ideologie di contorno. Se vuoi un governo che funzioni, ciò di cui ogni cittadino dovrebbe preoccuparsi, avendo il diritto di voto per farlo, è se ciò che gli viene proposto sia corretto e/o pratico. In questo ho distillato tutto e ho rimosso ogni ideologia; e in questo senso le mie concezioni politiche sono universali.

A proposito di America, di cultura americana, mi pare che non ti piaccia essere considerato un "compositore americano".

No, non mi interessa questo, non mi sono mai vergognato di essere americano: il fatto è che le parole "compositore americano" hanno una strana connotazione, anche negli Usa. La definizione potrebbe essere "un tizio che scrive musica che non riesce a fare eseguire" e la ragione potrebbe essere "non la si esegue perché non è buona, perché è americana"! Capito? Questo significa "compositore americano". Dalle mie parti, se qualcuno vuole consumare musica composta – e qualcuno c'è – è sempre qualcosa di più esotico che viene da laggiù, dall'Europa. Perché laggiù sanno che cosa significa comporre, lo fanno da migliaia di anni.

L'essenza di una composizione americana è: un tizio che scrive un pezzo per orchestra e in mezzo c'è uno xilofono. Dai un'occhiata alla storia della musica nei primi del '900 in America, ascolta uno qualunque dei famosi compositori nostrani. C'è sempre uno xilofono da qualche parte. È patetico!

Sono contento di essere americano, sono orgoglioso di essere un ragazzo americano al 100%. Forse tu sarai orgoglioso di essere italiano eppure ci saranno delle cose del tuo governo che non ti vanno e vorrai prendere le distanze. Ovunque la gente non è che gente. Politica e persone sono due cose diverse e quando pensi a una persona di un altro paese tendi a pensare alla politica di quel paese. Non conosci la gente, hai visto soltanto i loro capi alla televisione, hai letto quello che hanno detto sulle riviste, che sono sempre piene di merda. Niente di male ad essere statunitense, probabilmente c'è gente sbagliata al governo.

C'è però tutto un filone genuinamente americano, ma non accademico, una contro-tradì- zione fatta di personaggi come Ives, Partch, Cage, Nancarrow, che dimostrano come si possa essere artisti senza avere una tradizione alle spalle, una storia.

Non ho mai pensato che una persona debba essere coinvolta in qualcosa di accademico per essere artista. Non c'è bisogno di una scuola, di un certificato per fare arte. Questo significa perdere anni della propria vita, e quando sei fuori cosa fai? L'unica cosa che una laurea ti abilita a fare è ritornare nell'istituzione e insegnare a qualcun altro. Niente di questo per me è artistico o anche soltanto piacevole, ho una posizione fondamentalmente critica nei confronti dell'accademia, perché finora non ho visto niente uscire da questo ambito che mi abbia interessato: è un punto di vista molto soggettivo, ci sono probabilmente critici che sosterranno che la produzione di un musicista con le carte in regola è la migliore.